Il 14 marzo u.s. la Corte di giustizia europea ha pubblicato la sentenza allegata riguardante gli accordi stipulati con concessionari/intermediari e che è stata oggetto di diverse interpretazioni da parte della stampa. Riportiamo l’analisi che ne fa l’ANIA.

Secondo l’ANIA le conclusioni alle quali pervengono i giudici – pur recando diversi profili di interesse sotto il profilo sistematico e operativo – si riferiscono a una pratica molto specifica che si realizza, a quanto consta, solamente in Ungheria, cioè nel Paese in cui è insorta la questione che è stata fatta oggetto di valutazione.

1. La questione nasce dal fatto che la legge ungherese in materia di concorrenza presenta un testo del tutto speculare all’art. 101 del TFUE: per tale ragione la Corte di cassazione ungherese, nell’esaminare la fattispecie potenzialmente anticoncorrenziale, ha ritenuto di dover richiedere una valutazione del caso da parte dei giudici comunitari in modo da non rischiare di fornire – con la propria interpretazione – una valutazione che fosse potenzialmente in contrasto con l’applicazione uniforme del diritto antitrust nell’ambito dell’Unione Europea.

Il rinvio alla Corte di giustizia, infatti, è stato perseguito sulla base dei principi recati dal regolamento UE n. 1/2003 che, come è noto, prevede un’applicazione decentrata della normativa sulla concorrenza da parte delle Autorità competenti per ciascun Paese.

Come si ricorderà le predette Autorità debbono, innanzitutto, coordinare tra loro la propria attività e le proprie interpretazioni della normativa sulla concorrenza attraverso la rete esistente a livello comunitario

 e, se del caso, richiedere interpretazioni uniformi alla Commissione europea o alla Corte di giustizia qualora lo ritengano opportuno, soprattutto quando la fattispecie considerata possa avere un rilievo transfrontaliero.

2. La fattispecie presa in esame risulta alquanto complessa.

Due imprese di assicurazione esercenti in Ungheria avevano concordato con concessionari di autoveicoli operanti anche come officine di riparazione – direttamente con gli stessi o tramite accordo quadro con la loro associazione nazionale dei concessionari di autoveicoli – le condizioni e le tariffe orarie applicabili alle prestazioni di riparazione che l’assicuratore avrebbe dovuto pagare in caso di sinistro ai veicoli assicurati.

In tal modo dette officine potevano procedere direttamente alle riparazioni sulla base delle condizioni e delle tariffe concordate con l’impresa di assicurazione.

L’ANIA sottolinea  che tali concessionari erano legati agli assicuratori sotto un duplice aspetto.

Da un lato, infatti, in caso di sinistro essi riparavano per conto degli assicuratori i veicoli assicurati; dall’altro, intervenivano come intermediari (broker) a favore degli assicuratori medesimi offrendo alla propria clientela polizze assicurative in occasione della vendita o della riparazione dei veicoli. Più precisamente, nel corso degli anni sono stati conclusi diversi accordi quadro tra l’associazione dei concessionari automobilistici e una delle imprese di assicurazione. A seguito di ciò, quest’ultima ha concluso accordi individuali con i concessionari sulla base delle condizioni pattuite nell’accordo quadro.

Tali accordi prevedevano che i concessionari avrebbero percepito per la riparazione dei veicoli incidentati una tariffa maggiorata nel caso in cui le polizze dell’impresa facente parte dell’accordo avessero rappresentato una determinata percentuale delle polizze complessivamente vendute dal concessionario intermediario-autoriparatore.

Nello stesso periodo, un’altra impresa di assicurazione, pur non avendo concluso alcun accordo quadro, ha stipulato diversi accordi individuali con singoli concessionari. In tali ultimi accordi, gli incentivi praticati erano i medesimi di quelli pattuiti dalla prima impresa con la propria rete di concessionari intermediari-autoriparatori.

3. La sentenza ha il pregio di fornire un quadro riepilogativo dei presupposti che la normativa stabilisce per operare un rinvio alla Corte di giustizia e per valutare una fattispecie come anti competitiva.

3.1 Secondo la Corte europea “…se le questioni sollevate dai giudici nazionali vertono sull’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, la Corte è in linea di principio tenuta a statuire..” (cfr. punto 19).

La questione pregiudiziale in linea di principio deve essere limitata all’interpretazione o alla validità di una norma comunitaria, dal momento che l’interpretazione del diritto nazionale e la valutazione in ordine alla sua validità esulano dalla competenza della Corte. La successiva applicazione della norma comunitaria al caso concreto rientra nella competenza del giudice nazionale.

La stessa Corte, tuttavia, ricorda che essa “… si è ripetutamente dichiarata competente a statuire (anche) sulle domande di pronuncia pregiudiziale vertenti su disposizioni del diritto dell’Unione in situazioni in cui i fatti della causa principale si collocavano al di fuori della sfera di applicazione diretta del diritto dell’Unione…. (nel caso in cui)….la stessa normativa nazionale…si uniformava, per le soluzioni date a fattispecie puramente interne, a quelle adottate dal diritto dell’Unione”.

I giudici proseguono ribadendo che “….in simili casi vi è un sicuro interesse  dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme….(anche)… a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate” (cfr. punto 20).

3.2 La Corte poi, passando al thema decidendum in materia di concorrenza, sottolinea la differenza che sussiste quando la medesima fattispecie possa essere considerata anticoncorrenziale “per oggetto” oppure “per l’effetto” che essa produce sul mercato di riferimento.

In via preliminare, la Corte ricorda che “…secondo una giurisprudenza consolidatasi ….è necessario considerare anzitutto l’oggetto stesso dell’accordo, alla luce del contesto economico nel quale quest’ultimo deve essere applicato…(e) nel caso in cui (l’anti concorrenzialità di tale oggetto) venga dimostrato …..non è

necessario indagare i suoi effetti sulla concorrenza. Però, nel caso in cui l’analisi del contenuto dell’accordo non abbia rivelato un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, occorrerà esaminare i suoi effetti e, per poterlo vietare, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile” (cfr. punto 34).

3.3 I Giudici comunitari configurano la fattispecie sottoposta alla loro valutazione come idonea a “….incidere non su un solo mercato, bensì su due, nella fattispecie quello delle assicurazioni del ramo automobilistico e quello dei servizi di riparazione dei veicoli…” (cfr. punto 42) e ribadiscono inoltre che “…il fatto che in entrambi i casi si tratti di relazioni verticali non esclude … la possibilità che l’accordo in questione ….costituisca una restrizione della concorrenza per oggetto” (cfr. punto 43).

Il collegamento tra i due mercati, nella questione esaminata si realizza per il fatto che “…..i concessionari intervengono nei rapporti con gli assicuratori in una duplice veste, vale a dire quali intermediari o broker, che offrono assicurazioni automobilistiche ai loro clienti in occasione della vendita o della riparazione di

veicoli, e in quanto officine, che riparano veicoli incidentati per conto degli assicuratori” (cfr. punto 40).

Tale collegamento secondo il collegio giudicante “…..può costituire un elemento importante per valutare se tale accordo sia per sua natura dannoso al buon funzionamento del gioco normale della concorrenza…” (cfr. punto 41).

3.4 La sentenza sottolinea ancora che “…anche in assenza di un accordo o di una pratica concordata tra le imprese assicurative…” (cfr. punto 46) resta comunque da verificare se gli accordi verticali autonomamente posti in essere siano in grado – nello specifico contesto economico e giuridico di riferimento – di recare un

pregiudizio anticoncorrenziale ai mercati considerati.

Orbene tutto ciò potrebbe verificarsi nel caso di specie dal momento che la normativa nazionale ungherese sugli intermediari e i broker assicurativi (che, come quella italiana, recepisce la direttiva comunitaria n. 2002/92/CE) esige l’indipendenza di tali ultimi soggetti rispetto alle società di assicurazione. Essi,

infatti, operano per conto della clientela e l’esistenza di una remunerazione per le autoriparazioni eseguite correlata al numero di polizze collocate per conto dell’impresa di assicurazione potrebbe essere potenzialmente lesiva della concorrenza.

3.5 La pronuncia in esame, infine, sembra valutare negativamente la fissazione di un prezzo del costo dell’autoriparazione operato dall’associazione di categoria degli autoriparatori. Tale comportamento viene qualificato come accordo orizzontale potenzialmente anticoncorrenziale “per oggetto”, in quanto idoneo a

produrre una uniformazione delle tariffe orarie per la riparazione dei veicoli.

In ogni caso spetta al giudice nazionale rimettente verificare, nel caso concreto, l’esistenza dei presupposti elencati dalla Corte di giustizia sopra ricordati, prima di procedere ad una valutazione negativa della fattispecie considerata.

4. In conclusione, alla luce di quanto sopra descritto, sembrano potersi trarre le seguenti considerazioni.

La sentenza non sembra assolutamente valutare negativamente gli accordi tra le imprese di assicurazione e le autocarrozzerie.

Ciò che, invece, viene potenzialmente giudicato anticompetitivo è l’influenza che un accordo verticale (concluso a seguito di un accordo orizzontale stipulato, a monte, tra concessionari che siano allo stesso tempo anche intermediari e fornitori di servizi di autoriparazione) può esercitare su un diverso mercato, quello della distribuzione di polizze assicurative, regolamentato da una disciplina del tutto peculiare che ponga alla base l’indipendenza degli intermediari medesimi dalle imprese di assicurazione.

E’ bene ricordare, infine, che tanto l’Autorità garante della concorrenza e dei mercati quanto l’IVASS hanno di recente ribadito l’importanza degli accordi tra imprese e autocarrozzerie al fine di promuovere il risarcimento in forma specifica, limitando la possibilità che si verifichino frodi nel mercato e favorendo al

contempo anche l’utilizzazione massiva di pezzi di ricambio non originali nell’ambito dei servizi di autoriparazione.