Zurich in Italia ha pubblicato i risultati della ricerca “Creare valore con gli Employee Benefit”, condotta da SWG, sugli effetti degli investimenti in Employee Benefit su profitto e competitività di oltre 175 imprese italiane con più di 100 dipendenti.

Dalla ricerca emerge che le aziende che investono in un sistema di welfare flessibile in base delle esigenze dei dipendenti possono beneficiare di un incremento della produttività nel medio-lungo periodo e di un aumento della retention (grazie alla diminuzione del turnover) con conseguente riduzione dei costi per la ricerca e sostituzione del personale e per la formazione. I benefit contribuiscono infatti a sviluppare nei dipendenti un maggior senso di appartenenza all’azienda, oltre che un miglior ambiente di lavoro e possono essere uno strumento per attrarre talenti e giovani Sono dunque driver della crescita aziendale, in grado di migliorare competitività e dinamismo; sono un attivatore dello sviluppo aziendale, con ricadute di medio e lungo periodo, sia in termini economici, sia a livello di benessere aziendale.

In uno scenario di complessità crescente, caratterizzato da bassi livelli di crescita economica, una progressiva contrazione del welfare state e un aumento dell’incertezza delle persone che iniziano a essere più consapevoli della precarietà e della necessità di proteggere il proprio reddito, le aziende diventano un soggetto attivo del welfare in grado di creare valore per la comunità. Ed in questo contesto si collocano le misure di welfare aziendale a favore delle aziende contenute nella Legge di Stabilità 2017 e le normative a favore della valorizzazione degli asset intangibili delle imprese, quali ad esempio la Direttiva Ue sulle non financial and diversity information[1] secondo cui imprese e gruppi di grandi dimensioni dovranno, dal prossimo anno anche in Italia, rendere pubbliche non solo informazioni di carattere finanziario, ma anche di rilevanza sociale.

Il 41% delle aziende intervistate dotate di un sistema di welfare interno prevede un 2017 in crescita. Le ipotesi di un 2017 più roseo scendono di 4 punti, al 37%, per quelle imprese che non adottano social benefit aziendali. Inoltre, osservando la performance delle imprese che hanno un sistema di benefit aziendali da meno di cinque anni rispetto a quelle che lo hanno da più di sei anni, emerge che il 35% delle prime prevede un 2017 in salita, a fronte del 65% delle seconde.

I dati mettono inoltre in evidenza una relazione di stretta interdipendenza tra l’ammontare dell’investimento in welfare e i risultati aziendali in termini di retention (soprattutto dei livelli professionali intermedi) e conseguente abbattimento dei costi per la sostituzione del personale. Grazie all’applicazione di adeguate politiche di welfare, infatti, il 37,4% delle aziende ha riscontrato un aumento della produttività mentre il 29,3% una riduzione del turnover del personale.

Un investimento in Employee Benefit ha dunque un impatto positivo sui costi diretti dell’azienda, relativi alla sostituzione del personale. Dalla ricerca emerge che le imprese che registrano un alto tasso di turnover del personale, superiore al 5%, oggi si trovano a sostenere una spesa per ricerca, selezione e formazione dei nuovi assunti che incide per il 17,5% dei costi HR contro il 4,5% fatto registrare in media dalle aziende.

Per contro, per le aziende che hanno introdotto un piano di welfare, l’impatto dei costi diretti del turnover si è ridotto drasticamente attestandosi, in media, all’1,5%, oltre 4 punti percentuali in meno rispetto alle aziende che non si sono attivate in tal senso.

In particolare, la percentuale della spesa in “ricerca e selezione del personale” e in formazione dei nuovi assunti aumenta rispettivamente del 3,7% e del 5,1% nelle aziende che non offrono piani di welfare, rispetto alle aziende in cui vengono offerti benefit integrativi.

Confrontando le imprese che stanno investendo nel welfare e quelle che non lo hanno ancora fatto si rileva, invece, che la percezione del ruolo e del valore strategico del welfare aziendale è sottostimato da parte delle aziende. L’84% delle imprese che ha implementato un sistema di welfare ha riscontrato un miglioramento del clima aziendale. La percentuale scende di ben 15 punti nelle aziende che non hanno adottato politiche ad hoc. E quasi la medesima differenza di percezione si registra in tema di appartenenza all’azienda (14punti), riduzione del turnover del personale (12punti), attrattività verso i talenti (10 punti).

Un percorso bottom up per costruire un sistema di benefit flessibili

Analizzando le dinamiche delle imprese che hanno avviato da più tempo un pacchetto di welfare, si può notare che le società che hanno fondato il pacchetto di welfare su un sistema di ascolto e interazione diretta con i dipendenti stanno ottenendo performance migliori (il 44% prevede un 2017 in crescita), mentre quelle che hanno scelto la strada di sviluppare il sistema esclusivamente attraverso la negoziazione contrattuale appaiono più in difficoltà (il 37% prevede una crescita). Il sistema di welfare aziendale, pertanto, non può essere, per definizione, di tipo top down, ma deve necessariamente compenetrare un percorso bottom up, con un’attenta strategia di comunicazione e con l’intenzionalità di sviluppare un sistema on demand, mirato a rispondere nel modo più personalizzato possibile alle esigenze delle persone e delle loro famiglie.

Marco Allievi, Head of Corporate Life & Pensions – Zurich Global Life Italy, ha dichiarato: “Questa ricerca evidenzia la necessità di promuovere la cultura della valorizzazione del capitale umano come strumento competitivo per l’azienda e sottolinea come il welfare aziendale sia diventato un elemento di gestione strategica del personale in cui convergono gli interessi aziendali e quelli dei dipendenti. Un investimento crescente in Employee Benefit impatta in maniera significativa sui costi diretti correlati al turnover del personale e può diventare un vantaggio economico importante per le aziende; non a caso le grandi realtà internazionali si sono già mosse in questo senso. È un tema attuale per il futuro delle aziende, che potranno farne uno strumento di competitività, e anche per il mondo assicurativo, che vedrà crescere l’interesse su tali temi e dovrà essere sempre più attento a fornire soluzioni flessibili e “personalizzate”, utili a rendere il lavoro più a misura delle persone, creando valore alle aziende e alla società nel suo complesso”.

IL WELFARE INTEGRATIVO: UN MODELLO GIOVANE E IN EVOLUZIONE

Analizzando il panorama dei servizi oggi offerti direttamente dalle aziende, emerge che – in oltre il 60% dei casi – si tratta di iniziative attuate in applicazione dei contratti di categoria, ovvero solo il 40% delle aziende interpellate ha introdotto servizi e prestazioni di welfare aziendale integrativi, con un forte divario territoriale.

Se al nord, infatti, la quota di aziende che si è dotata di un piano strutturato si attesta al 42,3%, al sud la percentuale sostanzialmente si dimezza (22%).

Forte anche il divario per classe di addetti: tra le aziende che contano più di 500 dipendenti, infatti, a fronte probabilmente di una maggiore capacità economica, la presenza di modelli di welfare integrativi sale al 51,7%, contro il 28,3% delle aziende fino a 250 addetti. Infine solo il 13% delle aziende può vantare la presenza di un sistema integrativo da oltre 10 anni.

LE AREE DEL WELFARE: I SERVIZI DI UTILITÀ SOCIALE PIÙ E MENO DIFFUSI

Tra le tipologie di benefit oggi offerti dalle aziende si evince che quelli legati alla prestazione lavorativa (ticket pasto, telefoni e auto aziendali) sono i principali: sono infatti previsti nel 98% delle aziende, anche se per il 6% di queste rappresentano di fatto l’unica area di intervento. Tra le aree oggi più coperte da iniziative di welfare non tradizionali e trasversali ci sono quelle relative ai servizi assicurativi e sanitari e alla previdenza integrativa offerti rispettivamente dall’81,1% e dal 71,4% delle imprese. Nella maggioranza dei casi (circa il 60%) si tratta però di una pura applicazione delle norme e dei contratti di categoria.

Fanalino di coda i servizi per l’istruzione e la cura dei figli presenti in media solamente nel 21,1% delle aziende. Le prestazioni che coinvolgono non solo il dipendente ma anche la famiglia, sono dedicate mediamente in 9 aziende su 10 – solo ad alcune figure professionali e più tipicamente ai livelli professionali intermedi (impiegati e operai). I benefit previdenziali e assicurativi non previsti dalla contrattazione collettiva, per contro, sono ad appannaggio, in 6 aziende su 10, dei profili gerarchici più elevati, tipicamente i dirigenti.

[1] Direttiva 2014/95/UE