Milano I l 2013 è stato un anno da incorniciare per i family office. I loro patrimoni hanno fatto registrare una crescita media del 9%, un’ottima performance favorita dal buon andamento dei mercati azionari. E questo quanto emerge dal Global Family Office Report 2014 di UBS, realizzato in partnership con Campden Wealth, secondo il quale le regioni che hanno adottato una strategia più aggressiva (Nordamerica ed Europa) hanno conseguito risultati migliori rispetto a chi ha mantenuto un atteggiamento prudente (Sudamerica ed Asia). La ricerca è stata condotta tra l’inverno del 2013 e la tarda primavera di quest’anno su un campione di 205 family office a livello globale con asset in gestione pari a 180 miliardi di dollari. «Anche se i family office hanno mantenuto una strategia d’investimento bilanciata a ogni latitudine — si legge nel report — in alcune regioni (Europa e Nordamerica in particolare) si è registrato un aumento del profilo di rischio, a testimonianza del loro ottimismo e a dimostrazione della correttezza delle loro scelte». Se da un lato si è registrato l’incremento dell’esposizione azionaria e la riduzione di quella obbligazionaria, dall’altro si è verificato un aumento della diversificazione degli asset, una scelta dettata dalla necessità di bilanciare la maggiore rischiosità dell’equity. Secono lo studio, la propensione al rischio non è però ancora tornata ai livelli pre-crisi, cosa che avverrà non prima del 2016, soprattutto in Europa. Lo schock per le perdite subite nel 2008 non è stato infatti ancora del tutto superato. Per quanto di grande importanza, l’investimento dei capitali non è però l’obiettivo principale dei family office. Secondo Ubs, ancor prima dell’incremento della ricchezza, viene la conservazione della stessa, soprattutto quando entrano in gioco questioni ereditarie. «La gestione intergenerazionale dei patrimoni è di gran lunga il principale obiettivo dei family office — spiegano gli esperti di Ubs — Anzi si potrebbe dire che è la loro ragione d’essere. In secondo luogo viene la gestione della fiscalità». Nel 2013 le società di servizi specializzate nella gestione dei grandi patrimoni familiari hanno speso in media 86 punti base in termini di costi operativi e di questi la metà è rappresentata dall’attività d’investimento. Questo significa che a fronte di un patrimonio di 100 milioni di euro, i costi sono stati pari a 860mila euro. Oltre il 50% delle spese relative agli investimenti (21 punti base in media) sono stati destinati a società esterne. I family office che gestiscono masse per oltre un miliardo di dollari hanno allocato all’outsourcing 35 punti base, rispetto a una media di 58 punti base riferibile a strutture più piccole. Queste ultime hanno preferito rivolgersi a società esterne per non dover effettuare costose assunzioni interne che non sarebbero state giustificate in termini di ritorno economico. Tuttavia le realtà che hanno dato la gestione degli investimenti in outsource sono state quelle con minori probabilità di sovraperformare i benchmark di riferimento. Le strutture con i costi operativi più alti si trovano in Nordamerica ma questo è giustificato anche dal fatto che negli Stati Uniti si trova la più alta concentrazione di family office con una strategia di investimento «growth», che richiede un maggior impiego di risorse soprattutto interne. I costi tendono invece a scendere quando lo stesso family office serve più famiglie ma queste devono essere almeno sette per avere un significativo risparmio. Nel complesso, i family office che riportano alti livelli di coinvolgimento dei beneficiari hanno perseguito strategie di crescita più aggressive, sostenuto costi più elevati e ottenuto prestazioni inferiori ai parametri di riferimento. Il portafoglio del family office medio è costituito prevalentemente da azioni dei mercati sviluppi e dal real estate (investimento diretto); fanno eccezione le strutture che si sono date una strategia molto conservativa e hanno di conseguenza mantenuto un’alta quota di investimento obbligazionario. Generalmente i family office gestiscono direttamente gli asset che comportano un investimento nel lungo periodo, come per esempio il real estate, mentre preferiscono dare in gestione a specialisti esterni gli asset a breve scadenza (hedge fund, eccetera). «L’azionario globale si è rivelato essere l’asset più sicuro e più liquido per gestire i grandi patrimoni — spiega il responsabile di un importante family office europeo — Attualmente rappresenta dal 60% all’80% del portafoglio di un family office ». Sulla scelta degli investimenti pesa però anche molto la dimensione del portafoglio: «Se hai un milione da investire puoi pensare a una determinata asset allocation, se hai 100 milioni puoi prenderne in considerazione una diversa e se hai 1 miliardo la situazione è completamente differente», spiega il responsabile di un altro family office. Dall’analisi di Ubs emerge che più il family office è grande, più è probabile che la sua strategia di investimento abbia come obiettivo la crescita del patrimonio piuttosto che la conservazione. Fra le attività dei family office c’è poi la gestione delle iniziative filantropiche. Suu questo fronte risulta che un terzo dei family office ha effettuato donazioni per almeno 10 milioni di dollari, per lo più concentrati su settori come l’helthcare e l’istruzione. Le donazioni nell’area Asia-Pacifico sono aumentate del 10% rispetto allo scorso anno. In questa regione il 77% delle strutture ha avuto una qualche forma di impegno filantropico, ponendo la regione al secondo posto nella classifica mondia-le, subito dopo il Nordamerica. (m. fr.) L’azionario globale si è rivelato l’asset più sicuro e più liquido