di Carlo Giuro

Mentre prosegue il dibattito su come rendere più flessibile il sistema previdenziale con meccanismi che puntano ad ammorbidire i rigidi requisiti
di accesso alla pensione, emerge anche la volontà di rendere più consistente il concorso della previdenza complementare
alla copertura del gap pensionistico sia per aumentare le masse critiche gestite dalle forme previdenziali per favorirne il ruolo
di investitori istituzionali. Come premessa è però necessario che il risparmiatore sia adeguatamente informato e padroneggi
i meccanismi di funzionamento degli strumenti previdenziali.
La strada da percorrere sembra, in questa prospettiva, lunga. Se la busta arancione dell’Inps (che contiene la stima dell’assegno
pensionistico atteso) rappresenta un utile passo verso una maggiore consapevolezza previdenziale, diventa importante il
passaggio successivo: la necessità di una adesione e partecipazione consapevole alla previdenza complementare. Eloquente il dato che
emerge dai primi risultati dell’indagine Mefop 2015 secondo cui resta elevata la percentuale di coloro che preferiscono altre forme
di risparmio rispetto all’adesione ad un fondo pensione (40%).
Si profila una tendenza allora accentuata a un utilizzo di una sorta di welfare fai-da-te. A parità di risultato da raggiungere, che
differenza c’è tra il perseguirlo attraverso l’adesione a un fondo pensione o un piano individuale pensionistico (pip) o una differen-
te forma di risparmio? I profili da considerare sono almeno tre. Va sicuramente considerato in primo luogo la differente gestione
finanziaria. Il fondo pensione calibra l’investimento in rapporto alla meta previdenziale, spesso prevedendo anche meccanismi
di tipo life cycle o data target che modificano la gestione finanziaria sullo specifico orizzonte temporale dell’aderente che coin-
cide con il pensionamento. Non va poi dimenticato il tema delle prestazioni. Il fondo pensione o il pip già incorpora la soluzione ren-
dita che consente di fronteggiare il rischio longevità, mentre forme alternative necessitano alla scadenza di sottoscrivere contrat-
ti di rendita con non sempre un adeguato bagaglio conoscitivo per operare una scelta oculata. Da considerare poi che la previden-
za complementare è oggi la forma di risparmio che gode di vantaggi fiscali considerevoli. Se quindi il bisogno da soddisfare è quello
previdenziale il fondo pensione/pip è portatore di un significativo appeal competitivo rispetto al welfare-fai-da te. Se il bisogno è
invece quello di mettere da parte per un figlio, di costruire un capitale o un cuscinetto di liquidità, la soluzione più adeguata è
quella del piano di accumulo in fondi comuni o una polizza vita in forma rateale. (riproduzione riservata)

Che cosa fare con la cessione del quinto
Il rapporto tra previdenza complementare e cessione del quinto trova interpretazione negli Orientamenti Covip. L’autorità ritiene
che la cessione con garanzia del tfr non può pregiudicare il diritto del lavoratore di aderire ai fondi pensione anche con lo stesso tfr.
Con riferimento alle prestazioni, l’opinione è che queste risultino cedibili per un quinto al netto delle ritenute fiscali e del trattamento
minimo Inps. Le somme a titolo di anticipazione non sono assoggettate a vincolo di cedibilità, tranne quelle relative a spese sa-
nitarie, cedibili per un quinto (al pari delle prestazioni). Nell’ipotesi di riscatto del lavoratore o in caso di cessazione del rapporto di
lavoro (al ricorrere dei requisiti), il fondo pensione dovrà chiedere all’istituto mutuante il benestare alla liquidazione o l’iscritto potrà
presentare il benestare della società alla liquidazione. Se il credito non è stato estinto, il fondo (in caso non fossero concordate modali-
tà diverse) può liquidare all’istituto mutuante il quinto della prestazione fino alla soddisfazione del credito residuo.

Sanità con regole uguali
Un piano strategico che garantisca al Servizio Sanitario Nazionale un recupero in termini di sostenibilità ed efficienza, potenziando la
sanità integrativa. È la proposta portata avanti da Rbm Assicurazione Salute in una fase in cui la spesa che gli italiani sostengono di tasca
propria per curarsi è sempre più alta e soltanto una piccola parte viene intermediata da fondi, casse, polizze o società di mutuo soccorso.
«Occorre lavorare alla costruzione di un secondo pilastro sanitario aperto che garantisca una protezione aggiuntiva per tutti i cittadini senza distinzioni di attività lavorativa, reddito, condizione sociale», spiega Marco Vecchietti, consigliere delegato di Rbm Salute, compagnia italiana specializzata nell’assicurazione sanitaria.
Per Vecchietti, questo pilastro dovrà coprire l’intero campo della spesa sanitaria privata, quindi pagata direttamente dai cittadini, per la quota servizi (con particolare attenzione a odontoiatria, prestazioni socio sanitarie e socio assistenziali) e finanziare protocolli di prevenzione contro le malattie croniche non trasmissibili.
«Per raggiungere questo obiettivo», prosegue Vecchietti, «servono regole omogenee per tutte le forme sanitarie integrative (fondi sanitari, compagnie di assicurazione, casse di assistenza e società di mutuo soccorso, ndr) che prevedano l’obbligo per tutte le forme che intendano far parte
del sistema di garantire l’assenza di selezione del rischio, l’estensione delle coperture al nucleo familiare, la copertura sanitaria anche dopo il pensionamento e un’adeguata solvibilità finanziaria». La proposta di Rbm prevede che i contributi versati a tutti i veicoli di sanità integrativa in
possesso dei suddetti requisiti devono essere deducibili per tutti i cittadini. Essenziale la costituzione di un’autorità di
vigilanza unica di settore in grado di garantire applicazio-ne delle regole, sull’esempio dei fondi pensione, comparto nel
quale l’autorità di controllo preposta è la Covip.
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