di Anna Messia
Gli italiani stanno meglio. Hanno ripreso a consumare un po’ di più, e a risparmiare come non avveniva dal 2003, ricostruendo quel cuscinetto che si era eroso negli anni della crisi. Ma tengono gran parte di quanto accumulato in liquidità, perché in questi anni si sono resi conto che anche gli immobili possono perdere valore e non esistono prodotti finanziari sicuri. L’arrivo del bail-in ha poi minato la già debole fiducia che avevano nel sistema finanziario, e non si aspettano nulla di buono anche per il futuro da parte del regolatore. È questo, in sintesi, il quadro che è emerso dalla consueta fotografia scattata ogni anno dall’indagine Acri-Ipsos sugli «Italiani e il Risparmio» alla vigilia della Giornata mondiale del risparmio dell’Acri che si terrà questa mattina a Roma.

Dal sondaggio, giunto alla sedicesima edizione, arrivano sia elementi positivi che preoccupazioni. Perché se è vero che gli italiani vedono molti aspetti della loro vita personale in miglioramento rispetto al passato, in particolare i consumi e appunto la capacità di risparmio, dall’altra non riescono a guardare al futuro con tranquillità. «Il Paese migliora, ma non ne vedo gli effetti», ha sintetizzato Nando Pagnoncelli amministratore delegato di Ipsos Italia, che ha curato lo studio. «L’uscita definitiva dalla crisi appare sempre più lontana: l’aspettativa di durata media era di poco superiore a due anni nel 2009 e ha superato i 5 anni quest’anno. Metà degli italiani si aspetta di tornare ai livelli pre-crisi soltanto dopo il 2021».

Alle usuali preoccupazioni per il destino del Paese si sono aggiunti però i timori di una crisi dell’Unione Europea, accentuati dalla Brexit, e quelli legati a uno scenario globale poco rassicurante. Per la prima volta da quando ha avuto inizio il sondaggio, coloro che non hanno fiducia nell’Unione Europea in quanto tale diventano maggioritari (il 54%) rispetto al 46% di italiani che si fida: dal 2009 a oggi coloro che hanno fiducia sono arretrati di ben 23 punti percentuali. Sfiducia che colpisce anche l’euro, del quale due italiani su tre sono insoddisfatti (il 68%, dato in leggero calo rispetto al 71% del 2015); la maggior parte continua a essere convinta della sua utilità nel lungo periodo (il 51% come nel 2015), ma cresce il numero di coloro che ne hanno un’opinione negativa (sono il 42%, il 36% nel 2015) a spese degli indecisi.

Sembra che gli italiani vogliano un’Europa retta da una Costituzione comune (invocata dal 70% degli italiani, in crescita rispetto al 65% del 2015 e al 55% del 2007) per condividere con certezza i principi fondamentali, anche perché è in calo la fiducia nel fatto che l’Ue vada nella giusta direzione (dal 65% del 2014 al 53% del 2016). L’impressione, ha detto il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, è che «gli italiani si siano resi conto che l’Europa debba evolvere verso una unione dei popoli e non solo della moneta e della finanza».

Tornando al risparmio, dall’indagine Acri-Ipsos emerge in particolare che per il quarto anno consecutivo è cresciuta la quota di italiani che affermano di essere riusciti a risparmiare negli ultimi 12 mesi, passando dal 37% del 2015 al 40% attuale. Si tratta, come detto, del dato più alto dal 2003 che supera di gran lunga coloro che consumano tutto il reddito (34% nel 2016 contro il 41% del 2015). Dall’indagine emerge però al contempo che tornano ad aumentare le famiglie in saldo negativo di risparmio, dal 22% del 2015 al 25% attuale, perché crescono coloro che intaccano il risparmio accumulato (dal 16% dello scorso anno al 19% attuale) e rimane costante al 6% chi ricorre a prestiti. Si allarga insomma la polarizzazione tra coloro che riescono a risparmiare e coloro che sono in difficoltà.

Chi investe preferisce poi la liquidità: la scelta di tenere tutto sul conto corrente riguarda più di due italiani su tre (il 67%). Il 32% ritiene poi che l’investimento ideale non esista più, il 30% lo indica negli immobili, un altro 30% negli investimenti finanziari più sicuri e ultimi, con l’8%, sono coloro che indicano come ideali gli strumenti finanziari più rischiosi. Ma c’è un altro dato preoccupante: il risparmiatore rifugge il rischio perché ritiene sempre più di non essere tutelato. Il 74% degli intervistati parla infatti di norme e controlli non efficaci, mostrando una brusca inversione di tendenza rispetto agli ultimi due anni (era il 58% nel 2015, il 65% nel 2014, il 72% nel 2013). A peggiorare il quadro c’è sempre meno fiducia in un aumento delle tutele per i risparmiatori nei prossimi cinque anni. (riproduzione riservata)

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