Pagine a cura di Bruno Fioretti

In tempi di crisi economica gli italiani si rifugiano nella previdenza complementare. Con una contribuzione annuale media che varia dai 1.800 ai 2.300 euro cresce, infatti, il numero di coloro che decidono di investire sul proprio futuro pensionistico. A fine 2015, il numero degli iscritti ai vari fondi era di 7,22 milioni rispetto ai 6,44 milioni dello scorso anno, con un incremento di 780 mila unità. Gli iscritti, anche se un certo numero non ha versato contributi nel 2015, hanno raggiunto quasi il 30% del potenziale dei lavoratori attivi e sono più che raddoppiati dall’entrata in vigore della nuova disciplina relativa alle forme pensionistiche complementari (dlgs n. 252/05). Seppur in calo rispetto al 2014, i rendimenti dei fondi pensione (si veda tabella) si mantengono per il 2015 su buoni livelli. E comunque superiori ai rendimenti obiettivo costituiti da inflazione, media quinquennale del pil e tfr. È quanto emerge dal terzo rapporto annuale «Investitori istituzionali italiani» pubblicato dal Centro studi di Itinerari previdenziali guidato da Alberto Brambilla. Un documento che mappa il risparmio previdenziale degli italiani: 262,07 miliardi, cioè il 16% del prodotto interno lordo, gestiti da fondi pensione, casse professionali e sanitarie, fondazioni bancarie.

I risparmi degli italiani. A fine 2015 i piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (Pip) contavano 2.976.202 iscritti, di cui circa 2,6 milioni iscritti ai Pip «nuovi» (cioè costituiti o adeguati al dlgs 252/2005) con un aumento del 10% delle iscrizioni rispetto all’anno precedente (erano 2,4 milioni nel 2014).

Questa modalità si conferma ancora una volta quella più gettonata dai risparmiatori. Anche se, per effetto della crisi economica degli ultimi anni, circa il 30% del totale degli iscritti non ha effettuato versamenti nel corso dell’anno, in crescita di quasi il 7% rispetto allo scorso anno. Le risorse destinate dai Pip nuovi alle prestazioni risultano pari a 20 miliardi di euro. Sommate anche ai Pip «vecchi» conducono a un totale 26,8 miliardi di euro.

Il contributo medio degli iscritti è pari a 1.860 euro. Per queste forme previdenziali, a differenza dei fondi aperti, i dipendenti versano in media meno degli autonomi o dei non lavoratori (lavoratori dipendenti: 1.740 euro; lavoratori autonomi o non lavoratori: 2.110 euro).

Continuano a crescere anche le adesioni ai 36 fondi pensione di natura negoziale operanti nel Paese. Alla fine dello scorso anno, infatti, si contavano 2.419.121 iscritti. Rispetto all’anno precedente, si registra un significativo incremento del numero totale degli iscritti (+ 25% rispetto ai 1.944.276 di fine 2014) dovuto principalmente alle adesioni «contrattuali» del Fondo Prevedi per i lavoratori edili. Mentre il patrimonio complessivo è salito a 42,546 miliardi di euro (a fine 2014 era pari a 39,644 miliardi euro) con una crescita di 2,9 miliardi di euro

Bene anche i fondi pensione aperti. A fine 2015, i 50 fondi pensione aperti attivi in Italia (56 nel 2014) contavano 1.150.136 iscritti, in crescita dell’8,8% rispetto all’anno precedente (in cui gli iscritti a tali forme di previdenza complementare erano 1.057.024). Le adesioni collettive, pur se rilevanti e in leggera crescita, rappresentano circa il 20% del totale degli iscritti ai fondi aperti. L’attivo netto destinato alle prestazioni risultava pari a 15,4 miliardi, in aumento del 10% rispetto alla fine del 2014. Va rilevato, in ogni caso, che il 40% degli iscritti (1 ogni 2,5 iscritti) non ha effettuato versamenti nel corso dell’anno (un +6% rispetto all’anno precedente).

Sebbene i lavoratori dipendenti rappresentino solo il 51,2% del totale degli iscritti, da questi proviene circa il 66% dei flussi contributivi (per metà attraverso destinazione del tfr al fondo pensione). La contribuzione annuale media è stata pari a 2.310 euro (lavoratori dipendenti: 2.540 euro; lavoratori autonomi o non lavoratori: 1.960 euro). Una nota a parte meritano i fondi pensione preesistenti. Il loro patrimonio complessivo ammonta per il 2015 a 55,3 miliardi di euro con un incremento di circa 1,3 miliardi di euro rispetto al 2014 (54,03 miliardi di euro), superiore a quello dei fondi negoziali per circa 12,8 miliardi di euro, pur a fronte di un numero di iscritti notevolmente ridotto (645 mila rispetto ai quasi 2,4 milioni dei fondi pensione negoziali).

Economia reale. Ma dove sono investiti i 262 miliardi di euro di risparmio previdenziale? Ruota anche attorno a questa domanda oggi il dibattito politico economico. Stando ai risultati del report in commento, infatti, il flusso di nuove entrate generato da Casse, fondazioni e fondi nell’ultimo anno è stato di 8,58 miliardi con un incremento del 4,13% rispetto all’anno precedente. Risorse che aiuterebbero molto l’economia reale e da tempo oggetto di attenzione da parte del governo, il quale più volte ha chiesto soprattutto alle Casse di previdenza dei professionisti (70 miliardi di patrimonio) di investire nel Paese per aiutare l’economia a ripartire. È di poche settimane fa la richiesta agli enti autonomi di partecipare alla costituzione del Fondo salva-banche Atlante. Una delle poche caduta nel vuoto. Non è stato un caso, del resto, che alla presentazione del report la scorsa settimana a Roma vi fossero fra i partecipanti anche esponenti del parlamento e dell’esecutivo.

Intervenendo al dibattito, Lello Di Gioia, presidente della Commissione bicamerale di controllo enti, ha sottolineato come «gli investimenti nell’economia reale da parte degli investitori istituzionali siano tuttora troppo limitati a fronte del potenziale di 260 miliardi di patrimonio. Probabilmente», ha aggiunto, «questi soggetti non sono convinti delle garanzie offerte dallo Stato in quanto tale». Nel corso del suo intervento Di Gioia ha aperto alla possibilità di «rimettere in piedi un tavolo di discussione tra governo, parlamento ed enti di previdenza, in particolare il mondo delle Casse privatizzate, per affrontare alcune questioni cruciali, come il livello di tassazione e il sistema dei controlli, che tuttora rappresentano delle criticità per un mondo formalmente privatizzato, ma di fatto sottoposto a regole pubblicistiche». Proposta accolta dal sottosegretario all’economia Pierpaolo Baretta, che ha concluso la presentazione di Roma. «Potrebbero affrontarsi fin da subito il tema della tassazione del risparmio previdenziale e della sua eccessiva sproporzione rispetto agli attori degli altri Paesi Ue; quello degli appalti, per quanto riguarda le Casse privatizzate; oltre ad alcuni dettagli da perfezionare nel decreto sul credito d’imposta per gli investimenti nell’economia reale, che ha comunque sortito effetti finora soddisfacenti».
Fonte:
logoitalia oggi7