Società specializzate, broker, compagnie assicurative e consulenti strategici si stanno dando battaglia sul nuovo campo di gioco.
Ma i costi restano alti, soprattutto per le Pmi

«Abbiamo già quasi 200 aziende clienti , tutte imprese sane , che stanno bene, che riconoscono premi di produttività ai loro dipendenti». Federico Isenburg, fondatore nel 2007 di una delle più dinamiche società che assistono le imprese nel mare sconosciuto dei piani di welfare, ha scelto con vero tempismo, nel dicembre scorso, il nome giusto per la sua iniziativa, Easy Welfare. Da tempo, però, aveva riconvertito l’attività da quella di mobility management sotto i cui auspici aveva fondato l’azienda, quasi dieci anni fa. Fincantieri e Hera, fra i grandi gruppi con migliaia di dipendenti sono diventati suoi clienti quest’anno. «Assicuriamo flessibilità e una ampia gamma di servizi da erogare. In più a bbiamo messo a punto una  piattaforma di uso facile, per consentire all’utente di poter selezionare il servizio preferito», ha spiegato a MF. Piattaforma è una parola chiave per chi offre piani di welfare aziendale. È il luogo del web dove si può consultare il catalogo dei prodotti disponibili e acquistabili, previo accordo aziendale. «L’accesso alla piattaforma standard non è oneroso,
ma se l’azienda cliente vuole una personalizzazione, un suo set up, allora questo ha un prezzo. La nostra remunerazione viene da lì e da una percentuale sul volume di premi gestito», ha precisato Isenburg. Easy Welfare fattura 5 milioni di euro con un ebitda
oltre il 20% e un modello di remunerazione che si compone di un costo di setup della piattaforma crescente in funzione del numero dei dipendenti dell’azienda, un canone per aggiornare e mantenere il portale e una fee sugli importi calcolati.
Il margine di intervento è quello che il piano di welfare consente all’azienda di risparmiare in termini fiscali. Ma il valore aggiunto per il piattaformista, nel linguaggio dei tecnici chi fornisce via web piani di prodotti e servizi da selezionare, diventa la possibilità di diventare consulente essenziale per l’azienda. Soprattutto per le piccole e medie imprese che pur percependo il vantaggio di offrire benefit fiscalmente vantaggiosi ai loro dipendenti non dispongono delle strutture amministrative e manageriali per gestire quei rapporti , come invece hanno i grandi gruppi, tra cui Pirelli, Telecom o Ferrari, storicamente attivi in questa pratica. «I costi di una piattaforma sono considerati, troppo onerosi, specialmente dalle Pmi», ha ammesso Chiara Fogliani, consigliere delegato di Welfare Company, società di
QuiGroup, specializzata in soluzioni di welfare. E ha spiegato: «Grazie agli sgravi fiscali, 1.000 euro che un’azienda eroga sotto forma di servizi di welfare, invece che in prestazione in contanti, comportano un risparmio di 350 euro per l’azienda e 180 euro in più in busta paga per il dipendente». Su questi margini intervengono gli intermediari specializzati, che si stanno moltiplicando, da Eudaimon a Valore Welfare, da DoubleYou a Gesam, soppiantando il commercialista o il consulente del lavoro, che difficilmente hanno le competenze per stipulare le convenzioni necessarie per rendere disponibili i benefit richiesti dai lavoratori. Il boom di domanda sta attirando anche gruppi multinazionali, tra cui il broker assicurativo americano Aon, guidato in Italia da Federico Casini, o la francese Edenred, inventore dei Ticket Restaurant, che ha sfondato come fornitore di ticket sostitutivi delle mense aziendali, e ora fornitore di piani di welfare a tutto tondo. O ancora la francese, Sodexo, attiva anche sul fronte dei rapporti con il territorio, che ha allacciato una partnership con Vicenza Welfare. In questo caso si incrociano le conoscenze del territorio con la fornitura di una piattaforma di servizi che comprende oltre ai tradizionali buoni pasto, anche l’utilizzo di centri medici, palestre, corsi di lingua.
Nel settore salute le compagnie di assicurazione specializzate e generaliste, vedono nel welfare aziendale l’opportunità di diversificare l’eccessiva concentrazione dei premi sulla previdenza complementare, attuata con polizza vita. L’esempio più recente è quello di Poste Italiane, che ha sdoppiato PosteVita creando PosteSalute. Qualche tentativo di innovare lo ha fatto Axa, con formule molto rivolte ai giovani; o Allianz, che anche come datore di lavoro da anni promuove piani di welfare per i suoi dipendenti. Un segmento su cui molti si sono esercitati, ma non sempre con esiti di business soddisfacenti, è stato proprio quello della sanità integrativa. Un colosso come UnipolSai da cinque anni dedica al tema del welfare un appuntamento di riflessione e studio annuale, Welfare Italia. E sul segmento salute ha svolto ricerche e analisi accurate. Eppure soffre la competizione di soggetti non generalisti, che si sono concentrati sul tema, con risultati apprezzabi-li. «Le compagnie di assicurazione
generaliste concepiscono ancora la polizza sanitaria come ristoro esclusivamente di natura economica a fronte di un evento da risarcire», ha spiegato Marco Vecchietti, ceo
di RbmSalute, compagnia specializzata che vanta una raccolta premi di 350 milioni nel 2015, con 2,3 milioni di assicurati, tramite polizze aziendali. «Noi invece vogliamo affiancare l’assicurato nel suo percorso di salute puntando sulla promozione di uno stile di vita sano, sulla prevenzione e sulla consulenza dei migliori medici pub blici e privati. Non assicuriamo un evento, ma affianchiamo la persona lungo tutto l’arco della sua vita attraverso una serie di servizi, percorsi di cura, fino al long term care». Per Vecchietti c’è un rischio di welfare low cost, un welfare fai-da-te «che non coglie priorità e non aiuta a concentrare e risorse sui bisogni reali della popolazione». In corsa ci sono anche le grandi società di consulenza aziendale. Da EY a Pwc, a Deloitte, hanno intuito che la cura dell’azienda cliente deve arrivare anche a questo livello di delivery, forse meno nobile, ma essenziale per trattenere i clienti e per cercarne di nuovi.
Fonte: logo_mf