Pagine a cura di Gloria Grigolon

Sistema bancario europeo (e italiano) a prova di stress test. Ma il progetto di un’unione bancaria risulta sempre più lontano. Se da un lato si è, infatti, giunti al compimento di un’armonizzazione relativamente alla vigilanza accentrata sugli istituti dell’Eurozona e all’introduzione di metodi di risoluzione analoghi per tutti gli enti che si trovano in stato di crisi, pochi passi in avanti si sono fatti in materia di assicurazione comune dei depositi. A remare contro tale progetto, la Germania, seguita da Finlandia e Austria, che hanno evidenziato come, prima di pensare a una qualsiasi forma di mutualizzazione, sia necessario che i rischi dei sistemi bancari nazionali dell’area euro vengano livellati.

Certezza del diritto e discrezionalità. Il dossier banche pubblicato dalla Camera a inizio agosto tira le somme sulle principali riforme del sistema finanziario europeo attuate di recente e le modalità di recepimento delle direttive a livello nazionale. Per il completamento dell’unione bancaria, l’Ecofin, che raggruppa i più influenti ministri delle finanze del mondo, ha concordato nella riunione dello scorso giugno, che la Commissione dovrà presentare proposte di armonizzazione entro la fine del 2016, volte a limitare la discrezionalità e a garantire la certezza del diritto in fase di risoluzione. Necessità di modifica si sono quindi individuate in materia di assorbimento delle perdite, di requisiti patrimoniali e coefficienti massimi di leva finanziaria (con la previsione di una soglia del 3% per le banche sistemiche). Relativamente all’esposizione ai titoli di stato, la questione è attualmente oggetto di discussioni presso la Banca dei regolamenti internazionali. Molti paesi emergenti sarebbero infatti contrari a introdurre limiti all’esposizione sovrana. Analogamente, in sede Ue, alcuni stati, tra cui l’Italia, si oppongono all’idea di chi, come la Germania e l’Olanda, spinge per introdurre limiti al possesso di titoli governativi, modificando anche la disciplina che assegna al titolo di stato un «rischio zero».

Unione bancaria senza sostanza. Le rovinose vicende economico finanziarie degli ultimi anni hanno impattato negativamente non solo sulla fiducia dei risparmiatori, ma anche e soprattutto sui bilanci delle banche. Essi, oltre alle elevate quantità di titoli di debito pubblico detenuti in portafoglio (per i quali è emersa forte criticità legata all’incognita rischio-paese), hanno dovuto fare i conti con l’aumento dei crediti deteriorati, comprendenti sia il nocciolo duro delle sofferenze (più rischiose in termini di insolvenza), sia quello degli incagli (da parte di soggetti in difficoltà temporanea). Nel tentativo di porre fine al circolo vizioso che ha collegato le crisi dei sistemi bancari alla crescita dei debiti sovrani e allo scopo di completare l’architettura dell’unione bancaria, nel novembre 2015 la Commissione ha presentato una comunicazione e una proposta di regolamento volte a garantire che il meccanismo unico di vigilanza possa operare nel modo più efficace possibile, riducendo le discrezionalità nazionali nell’applicazione delle norme prudenziali e limitando l’uso dei finanziamenti pubblici, così da non gravare sui debiti nazionali (e, dunque, sui contribuenti).

Questione sofferenze e recupero crediti. La gravità della recessione ha inciso significativamente sulla qualità degli attivi degli istituti finanziari di tutta Europa. Banca d’Italia, nel supplemento al Bollettino Statistico del 12 luglio, ha dichiarato che le sofferenze bancarie totali, a fine maggio 2016, ammontavano a 199,9 miliardi di euro. La relazione annuale per il 2015 (pubblicata a maggio 2016) rilevava invece crediti in sofferenza per 210 miliardi. Al netto delle rettifiche di valore, gli importi in bilancio erano rispettivamente pari a 197 e 87 miliardi; il 78,7 per cento dei crediti deteriorati lordi era verso imprese. E ancora: secondo il ministro Pier Carlo Padoan, nel primo trimestre del 2016 il flusso di nuovi crediti inesigibili per l’intero sistema bancario sarebbe sceso al 2,9%, attestandosi sui valori più bassi dal 2008. Dati alla mano, è bene ricordare come il livello di sofferenze non sia l’unico criterio per valutare il rischio associabile a un istituto di credito o al settore di uno specifico paese. Banche di altri paesi, ricorda ad esempio lo studio della Camera, risultano più esposte di quelle italiane verso i paesi emergenti, che stanno affrontando una difficile fase economica. Anche restando nell’ambito dei crediti, le statistiche mettono in luce un tasso di copertura degli attivi deteriorati da parte delle banche italiane superiore a quello che si registra in altri paesi. Gli stessi indici relativi alla leva finanziaria collocano gli istituti di credito tricolori in una posizione di vantaggio rispetto a quelli degli altri stati dell’Eurozona.

Con l’obiettivo di smaltire le attività inesigibili in pancia al settore bancario, la Commissione ha approvato il piano che prevede il meccanismo di garanzia sulla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza del settore bancario italiano (Gacs). La presenza della copertura pubblica (per le sole tranche di obbligazioni di livello alto) è volta a facilitare il finanziamento delle operazioni di cessione delle sofferenze, che dovrebbe liberare risorse da destinare al finanziamento del sistema produttivo. Per favorire il recupero dei crediti è stata inoltre inserita una misura che agevola la vendita degli immobili in esito a procedure esecutive, prevedendo una riduzione dell’imposta di registro misura fissa di 200 euro (anziché il 9% del valore di assegnazione). L’agevolazione è fruibile a condizione che l’immobile sia rivenduto nei due anni successivi. Ulteriore intervento, quello che a inizio aprile ha reso possibile la costituzione di un fondo di investimento privato volto a sostenere futuri aumenti di capitale da parte di banche e a contribuire alla dismissione dei crediti deteriorati attualmente nei bilanci degli intermediari italiani (c.d. Fondo Atlante), un’iniziativa del settore privato, costituita da una società di gestione del risparmio indipendente che raccoglie capitali dalle istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni e fondazioni che partecipano su base volontaria).

Stress test. Da ultimo, il capitolo stress test. Lo scorso 29 luglio l’European banking authority-Eba ha pubblicato i risultati degli stress test per 51 banche in paesi dello Spazio economico europeo. Obiettivo era quello di valutare la capacità di tenuta delle grandi banche europee in condizioni economiche e finanziarie avverse. Per quanto riguarda gli istituti italiani, quattro dei cinque presi in considerazioni hanno mostrato buona tenuta (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banco Popolare e Ubi Banca). Per contro, il Monte dei Paschi di Siena, pur superando il test nello scenario di base, ha mostrato risultato negativo nello scenario avverso. Il Consiglio di amministrazione del Mps ha dunque deliberato un piano che prevede la cessione dell’intero portafoglio di crediti in sofferenza e un aumento di capitale fino a 5 miliardi, che consentirà di incrementare gli accantonamenti sui restanti crediti deteriorati.

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