Di Lucio Berno

Cari intermediari forse è arrivato il momento di fermarci e di riflettere. Molto attentamente.

Ben due recentissime sentenze della Cassazione si sono soffermate sul problema della consulenza dei professionisti offrendo soluzioni sicuramente contrastanti.

Ma a ben guardare queste sentenze si potrebbero  adattare anche agli intermediari assicurativi. Probabilmente è presto per allarmarsi … Ma non troppo.   E comunque è importante conoscere il problema.

Dobbiamo partire dall’art. 1176 c.c. che impone una diligenza particolare nell’adempimento di obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale da valutarsi (ovviamente) con riguardo alla natura dell’attività esercitata.  Prima domanda: l’attività di intermediario assicurativo è una attività professionale?

Sappiamo tutti quanto difficile sia rispondere a questa domanda, ma (almeno per chi scrive) non vi è dubbio che lo sia. E lo è sicuramente in tutta quella parte che precede l’atto conclusivo di intermediazione identificato nel contratto di assicurazione. A nessuno sfugge (almeno lo spero) che il portato di un contratto dipende molto dalla consulenza fornita dall’intermediario.

Guarda casa proprio il momento in cui gli Ermellini si sono soffermati nell’affrontare i due casi di cui forniamo il riepilogo:

Partiamo dalla sentenza 13007/2016 che origina dal ricorso avanzato dal cliente di un commercialista che intende dichiarare la responsabilità del professionista per mancata impugnazione di una sentenza resta dalla competente CTR.

Per il merito della questione rimandiamo alla lettura della sentenza. In estrema sintesi un signore consegna al proprio commercialista copia del dispositivo di una sentenza per  la quale chiede chiarimenti e indicazioni su come procedere. Il professionista non risponde ne lo convoca. Passano i termini di impugnazione e questo signore è costretto a pagare 70.000’00 euro.

La Corte d’Appello respinge sostanzialmente le richieste del ricorrente il quale propone ricorso per Cassazione. Gli ermellini invece  sono di tutt altra idea concludendo chela decisione della corte territoriale non è fondata.  Infatti la responsabilità del dottore commercialista (così i giudici della Cassazione) presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell’art. 1176 c.c. comma 2 e articolo 2236 c.c. tenuto conto della natura e della portata dell’incarico conferito.

Peraltro qualora si tratti di attività di consulenza (richiesta ad un dottore commercialista) il dovere di diligenza impone anche l’obbligo non solo di dare tutte le informazioni che siano di utilità per il cliente e che rientrino nell’ambito delle competenze del professionista ma anche (sempre tenuto conto della portata dell’incarico conferito) di invididuare le questioni che esulino da detto ambito.

Il commercialista sarà perciò tenuto ad informare il cliente:

  • Dei limiti della propria competenza
  • Fornire elementi e dati di sua conoscenza per consentire al cliente di prendere proprie autonome determinazioni.

Magari anche rivolgendosi ad altri professionisti segnalati come più competenti sull’argomento.

In altri termini si configura come obbligo di diligenza connesso all’incarico di consulenza conferito quello di informare il proprio cliente:

  • Delle conseguenze giuridiche o contabili che derivano dalla sentenza di condanna
  • I rimedi anche se astrattamente perseguibili anche se non possibili con il professionista incaricato.

Cari Colleghi  non so Voi ma io tremo all’idea delle responsabilità che potrebbero essere imposte alla figura dell’intermediario assicurativo in sede di giudizio.

Questa sentenza a me non dice nulla di nuovo di quanto (tra derisioni e indifferenza nelle migliori delle ipotesi) vado dicendo da diversi anni.

Ora non possiamo più girare la faccia da un’altra parte per non guardare ….

Così anche la sentenza 12008/20016 il cui commento Vi risparmio (… perché io sono buono …) ma che alleghiamo.

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