di Paola Valentini
Nel bene e nel male quello appena concluso è stato un semestre da brividi per i mercati, che sono stati colpiti da una serie di shock. La crisi della borsa cinese con cui si è aperto il 2016 e il crollo del prezzo del petrolio, sceso anche sotto quota 30 dollari al barile, hanno tenuto banco nei primi mesi per poi passare il testimone alle banche centrali. L’inatteso cambio di passo della Fed, che a febbraio ha deciso di prendere più tempo per alzare ancora i tassi, e l’annuncio quasi contemporaneo di un piano di ulteriore espansione monetaria da parte della Bce hanno fatto tirare un sospiro di sollievo agli investitori. Ma poi il mercato è entrato nell’incubo del referendum britannico con l’amara sorpresa finale della Brexit, prevista soltanto da una minoranza. Tutti eventi che hanno messo a dura prova gli investitori grandi e piccoli. E anche i prossimi sei mesi appaiono problematici, perché densi di appuntamenti politici corredati di forti elementi di discontinuità con il passato. Ma almeno l’estate potrebbe passare senza troppi scossoni, visto che i mercati stanno ancora smaltendo la Brexit e per ora i ribassisti, che si sono scatenati all’indomani del referendum inglese, sembrano aver scaricato le loro armi.

Poi però l’autunno sarà scandito da eventi chiave potenzialmente in grado di destabilizzare i mercati. A partire proprio dall’Italia, dove a ottobre si terrà il referendum costituzionale, seguito dalle elezioni presidenziali americane di novembre. Senza dimenticare la Gran Bretagna, dove dopo le dimissioni di David Cameron potrebbero essere indette nuove elezioni per scegliere il governo che dovrà gestire la fase di uscita del Paese dall’Ue. «Nel futuro più immediato, ovvero nei mesi estivi, vedremo un mercato probabilmente influenzato da quelle che vengono definite headline news, cioè i lanci di agenzia che riguarderanno l’evoluzione delle vicende britanniche e, a partire dalla fine di luglio, anche dai risultati aziendali relativi al secondo trimestre 2016», dice Massimo Saitta, direttore Investimenti di Intermonte Advisory. I bilanci di metà anno saranno interessanti; innanzitutto i numeri potrebbero aver catturato l’effetto del clima di incertezza pre e post referendum che ha contraddistinto il mese di giugno. «Inoltre la tornata di trimestrali sarà l’occasione per i management di fornire le prime indicazioni sulle prospettive del business dopo l’esito referendario nel Regno Unito», aggiunge Saitta. «Insomma, potrebbe essere l’occasione per un check up dopo la botta subìta».

Una botta che ha colpito particolarmente duramente su Piazza Affari, il cui indice Ftse Mib nel primo semestre ha accumulato un ribasso del 24% risultando il peggiore tra i mercati occidentali e tra i maggiori mercati emergenti. Al contrario l’oro, bene rifugio per eccellenza, ha guadagnato il 23,9%. La crisi delle borse e le politiche super-espansive delle banche centrali hanno abbassato ancora di più i rendimenti delle obbligazioni. Ma d’altra parte i maxi-ribassi di borsa possono rappresentare un’occasione d’acquisto da non lasciarsi scappare.

Proprio per capire come ripartire dopo l’orribile primo semestre Milano Finanza ha chiesto a sei big della gestione, money manager con 700 miliardi di euro di masse (più di un terzo del totale dell’industria italiana dell’asset management), i consigli di asset allocation per il secondo semestre di questo 2016. Il forum ha coinvolto Alessandro Solina (responsabile degli investimenti di Eurizon Capital Sgr), Monica Defend (head of global asset allocation research di Pioneer Investment), Armando Carcaterra (direttore investimenti di Anima ), Bruno Rovelli (chief investment strategist di BlackRock Italia), Sandra Crowl (membro del comitato investimenti di Carmignac), Matteo Ramenghi (responsabile investimenti di Ubs Italia) e Lorenzo Alfieri (country head per l’Italia di Jp Morgan Asset Management).

Domanda. Dopo il terremoto-Brexit quali sono gli asset finanziari su cui puntare da qui a fine anno ?
Crowl. Indipendentemente dalle asset class nelle quali si intende investire, il secondo semestre 2016 sarà volatile. Ci sono ancora importanti scadenze politiche negli Stati Uniti, in Italia e in Spagna, senza contare l’impatto della Brexit sulla crescita globale. Ciò detto, esistono comunque delle opportunità. In un contesto di crescita sempre più fiacca e di rendimenti sempre più bassi, ricerchiamo titoli azionari poco sensibili al ciclo economico, come quelli dei settori healthcare, Internet e dei beni di consumo di base. Nel segmento obbligazionario guardiamo al credito strutturato, ai titoli di Stato dei Paesi emergenti e alle obbligazioni corporate del settore finanziario a cedola elevata. Sul fronte valutario puntiamo a un portafoglio bilanciato di valute dei principali Paesi core, esclusa la sterlina inglese.
Alfieri. Concordo. Sicuramente il rapporto rischio-rendimento continua a essere a favore dell’azionario, ma questo resterà ancora preda di una forte volatilità. È comprensibile quindi che l’equity possa essere meno accettato dall’investitore rispetto alle obbligazioni. Di conseguenza a questo punto, proprio per ovviare al fatto che questa parte del portafoglio avrà una volatilità superiore, bisogna giocoforza affidarsi a titoli ad alto rendimento di settori più difensivi, come le utilities. Nell’azionario le nostre preferenze vanno agli Usa, anche se ovviamente in termini di valutazioni il mercato azionario americano è più costoso.
Rovelli. Anche per noi le azioni ad alto dividendo rappresentano un’opportunità. La nostra idea di fondo è che siamo in un mondo che cresce poco e lo shock della Brexit fa sì che crescerà ancora meno, ma non vediamo uno scenario di recessione globale. Questa premessa è importante per dire che le asset class che dovrebbero fare meglio sono quelle in grado di generare reddito in modo sistematico; sia nell’obbligazionario, dove troviamo interessanti i bond corporate investment grade e il debito emergente, sia nell’azionario, con titoli ad alta generazione di cassa e alta capacità di crescita dei dividendi.
Ramenghi. Sono d’accordo con Alfieri. Siamo particolarmente positivi sull’azionario americano. Gli Stati Uniti subiscono un impatto molto limitato dalle turbolenze politiche europee e nella seconda parte dell’anno dovrebbero vedere un’accelerazione dell’economia e dei risultati aziendali. Siamo anche favorevoli all’high yield europeo. A questo proposito dobbiamo ricordare che il ciclo del credito in Europa è ancora acerbo, in quanto veniamo da un lungo credit crunch, e ci sono spazi di riduzione dei tassi di default in considerazione della ripresa economica in corso e della politica espansiva della Bce.
Solina. La nostra preferenza va invece al mondo del credito nel suo complesso. In generale preferiamo l’esposizione ai titoli governativi dei Paesi emergenti, sia in valute forti sia nelle divise locali. Riteniamo molto interessante anche l’investimento negli high yield europei e sul credito bancario delle banche di maggior qualità. Lo spread dei titoli di Stato periferici inizia a ritornare attraente.
Defend. In uno scenario fragile, che dopo l’esito del referendum in Uk rimane altamente volatile e con una forte avversione al rischio, riteniamo che i titoli obbligazionari corporate europei possano ancora offrire valore. Il programma di acquisti della Bce infatti è un utile supporto alle obbligazioni societarie in un quadro di tassi governativi negativi o vicini allo zero. Più in generale, in questa fase di mercato riteniamo che i beni rifugio, quali i titoli governativi, il dollaro americano e l’oro, possano beneficiarne.

D. Qual è la vostra visione delle borse europee per il resto dell’anno?
Ramenghi. In generale pensiamo che i mercati azionari possano recuperare nel corso dell’anno in considerazione della crescita economica a livello mondiale e dell’abbondante liquidità in circolazione. Il livello di cash sui conti a livello mondiale indica un potenziale sostegno per i mercati. In questo contesto l’Europa continua a registrare un’elevata volatilità derivante dal rischio politico, acutizzato dalla Brexit, e da politiche economiche poco orientate alla crescita. Per queste ragioni siamo neutrali sui mercati dell’Eurozona.
Rovelli. Sono d’accordo in parte. La Brexit ha sicuramente provocato uno scossone, ma credo che sia ragionevole pensare che le borse europee saranno a un livello un po’ più alto da qui a fine anno, in quanto le valutazioni sono tornate livelli interessanti dopo i ribassi da inizio 2016. Inoltre per l’economia dell’Eurozona non vediamo una recessione, considerando anche l’azione ancora più espansiva della Bce.
Carcaterra. Ci aspettiamo ancora settimane, forse mesi, di volatilità e incertezza. Questi elementi ci inducono ad adottare un approccio tattico e flessibile. Il posizionamento è neutrale ma suscettibile di revisioni a seconda dell’evoluzione dello scenario.

D. Quali sono i settori preferiti nell’azionario europeo?
Carcaterra. Per i portafogli dei fondi azionari europei abbiamo una visione positiva sui settori dei consumi di base e della salute e sui titoli energetici, negativa invece sui titoli finanziari e assicurativi.
Defend. Abbiamo un’impostanzione simile. I settori che potrebbero essere meno colpiti dal contesto di volatilità dei mercati sono il farmaceutico e i beni di consumo, mentre i finanziari potrebbero subire maggiori pressioni al ribasso.
Crowl. Piacciono anche a noi le azioni del comparto salute. Preferiamo i leader globali europei che hanno una visibilità di lungo termine sulla crescita degli utili, come i titoli del settore healthcare e dei beni di consumo di base, perché sono in grado di sostenere una fase prolungata di crescita modesta e un contesto che si conferma deflazionistico. Anche i settori rivolti all’export potranno trarre beneficio da un euro più debole.

D. E il mercato azionario italiano?
Ramenghi. Il mercato azionario italiano evidenzia valutazioni a sconto rispetto alla media europea ed è quello che ha sofferto di più per le incertezze legate alla Brexit. Infatti, anche se l’esposizione diretta alla Gran Bretagna è contenuta, l’Italia è vista come vulnerabile al contagio politico.
Solina. Questo è sicuramente vero, tuttavia la risposta delle principali banche centrali, e in particolare della Bce, potrebbero aiutare a contenere le tensioni in una fase in cui le valutazioni già scontano uno scenario molto complicato. Quanto al nuovo programma di supporto precauzionale per le banche italiane approvato dall’Ue, questo facilita il rifinanziamento tra istituti in caso di carenza di liquidità qualora la situazione di mercato dovesse peggiorare. Quindi non ha un impatto sul capitale delle banche e tantomeno sui crediti in sofferenza. In generale conferma la presenza dello Stato e dell’Europa nel voler minimizzare il rischio-banche a favore di risparmiatori e imprese contribuendo a ridurre complessivamente il premio al rischio negli investimenti.
Crowl. In effetti il freno principale al mercato azionario italiano è rappresentato dalle società con una crescita modesta degli utili, in particolare nel settore finanziario. In mancanza di un piano concreto per la ricapitalizzazione delle banche e senza una struttura per isolare i non performing loans sarà difficile assistere a un rally dell’indice di borsa.

D. Il mercato azionario Usa, oggi sui massimi, proseguirà nella tendenza rialzista da qui a fine anno?
Alfieri. Abbiamo cambiato valutazione a favore del mercato americano perché in questa fase ci dà una maggiore tranquillità in termini di volatilità e anche di possibilità di performance nei prossimi mesi. Inoltre la Fed ha allontanano il rischio di un ulteriore rialzo tassi. Tutto ciò è un buon viatico per l’azionario americano, che rappresenta un’alternativa interessante soprattutto guardando alle aziende focalizzate sui consumi interni o andando su grandi major attive sui mercati internazionali.
Carcaterra. È indubbio che quello americano si conferma un mercato più caro di altri, ma anche per noi è allo stato attuale più difensivo e al riparo dalle incertezze rispetto alle borse europee. Dopo la pubblicazione dei dati di maggio relativi al mercato del lavoro, che hanno rilevato una battuta d’arresto, saranno importanti i prossimi dati economici e le decisioni che verranno prese di conseguenza dalla Fed in relazione al timing dei prossimi aumenti dei tassi.
Crowl. Mi concentrerei sulle valutazioni. Mentre il mercato azionario statunitense ha registrato performance positive nei periodi di crisi precedenti, ora le quotazioni sono elevate e ci troviamo in una fase più avanzata del ciclo economico, circostanza che potrebbe renderlo più vulnerabile a uno shock. Anche le elezioni presidenziali di novembre saranno una fonte di maggiore volatilità. Nonostante questi rischi, ci sono opportunità da cogliere nelle società che beneficiano di tendenze forti, come l’innovazione tecnologica, l’espansione dell’utilizzo di Internet e dei pagamenti elettronici. Gli investimenti nelle società aurifere nordamericane e nel settore energetico dovrebbero ancora contribuire a migliorare la performance del portafoglio e a ridurne la volatilità.

D. Che cosa pensate dei mercati emergenti asiatici?
Solina. La crescita delle economie dell’area asiatica, così come gli utili aziendali, sembrano essere entrati in una fase di graduale stabilizzazione e le valutazioni non sono particolarmente attraenti, fatta eccezione per Corea e Cina, che trattano sotto la media storica, mentre il resto dei mercati è in linea o a premio. Manteniamo una posizione neutrale per quanto riguarda i mercati azionari dell’area, preferendo tuttavia i temi ciclici ai settori difensivi, che trattano a multipli particolarmente elevati. Al contrario il trend di deflazione in atto nell’area e la bassa crescita giustificano un approccio positivo sui titoli di Stato.
Ramenghi. Pur essendo in generale neutrali sui Paesi emergenti, vista la buona performance da inizio anno e alcune difficoltà economiche, nello specifico siamo positivi su India e Cina, che sono rimaste indietro da inizio anno mentre continuano a evidenziare forte crescita economica.
Carcaterra. Anche la nostra visione resta costruttiva, ma riteniamo che, se la Fed temporeggerà ulteriormente sulla stretta mantenendo tassi bassi più a lungo, allora queste borse non potranno che beneficiarne. Al contrario, se il dollaro dovesse rafforzarsi troppo, allora gli emergenti sarebbero sfavoriti.
Defend. C’è però anche da considerare l’effetto della Brexit, che, unito al potenziale rallentamento della domanda nell’Eurozona, potrebbe complicare parte della crescita nel più breve periodo. In ogni caso la parte asiatica è quella che preferiamo nel medio-lungo termine, perché ha intrapreso la via del ribilanciamento economico nella direzione corretta.
Rovelli. Proprio la lontananza geografica dall’epicentro europeo della crisi mette l’Asia in una posizione favorevole. L’area inoltre ha valutazioni non alte. In generale, sul fronte sia del debito sia delle azioni i mercati emergenti beneficiano del fatto che oggi possiamo immaginarci una politica monetaria più accomodante rispetto alle stime precedenti la Brexit.

D. Quale potrebbe essere il principale rischio per i mercati da qui a fine anno?
Rovelli. Il rischio è che aumenti la confusione politica in Europa. Negli ultimi giorni già vediamo che sta diventando difficile per l’Europa identificare un cammino chiaro che porti il Regno Unito a uscire dall’Ue. La Brexit è un evento che scatena un processo, ma per ora apparentemente non succede nulla. Il rischio principale arriva dall’Europa, cosa che non avrei pensato fino a una settimana fa.
Defend. Pensiamo anche noi che il rischio politico al momento sia il più rilevante. L’aumentare della pressione dalle forze euroscettiche e populistiche, l’incontenibile flusso migratorio verso l’Europa e la gestione dell’uscita del Regno Unito dall’Ue rappresentano sfide importanti per i mercati.
Alfieri. Non c’è dubbio che oggi l’elemento di rischio più importante sia legato alla politica più che a fattori macroeconomici.
Solina. Noi invece riteniamo che il rischio principale sia un rallentamento dell’economia americana che sfoci in una recessione. Conviviamo già da diversi anni con questo rischio, ma sicuramente ora il ciclo è più maturo; la Federal Reserve ha già rimosso parte dell’allentamento monetario e i margini di profitto delle aziende sono ridotti. Si tratterebbe in ogni caso di una recessione ben diversa da quella seguita alla grande crisi finanziaria: sono diminuiti gli squilibri finanziari, in particolare si è ridotto il debito delle famiglie ed è aumentato il risparmio. A tale rallentamento probabilmente seguirebbe il timore degli investitori sull’inefficacia delle politiche monetarie e sul ritorno al protezionismo, paure che riteniamo al momento esagerate anche nel caso i pericoli temuti si concretizzassero.

D. Le elezioni presidenziali statunitensi potranno provocare volatilità sui mercati in autunno?
Ramenghi. In realtà il mercato americano risente poco delle elezioni presidenziali, perché c’è un sistema di controlli collaudato, che porta a decisioni consensuali, e perché negli Usa a livello politico prevale una visione unitaria, a differenza di quanto accade in Europa. Queste elezioni sono particolari, però, perché entrambi i candidati esprimono tassi di gradimento molto bassi; per questo ci sono alcune incognite.
Defend. Secondo me l’appuntamento elettorale statunitense potrebbe sì far aumentare la volatilità. Al momento il mercato sconta una vittoria della Clinton con il mantenimento dello status quo. Trump porterebbe più incertezza e possibili cambiamenti nelle politiche economiche in direzioni non del tutto chiare.
Solina. Io invece sono convinto che in questa fase si possano manifestare anche delle opportunità d’acquisto da inserire nell’ambito di un portafoglio diversificato. L’incertezza che accompagna gli appuntamenti elettorali è tendenzialmente fonte di volatilità sui mercati. Inoltre i due candidati hanno approcci all’economia molto differenti. In alcuni casi, è vero, si tratta di dichiarazioni elettorali che poi potrebbero essere riviste, ma di per sé potrebbero determinare un aumento della volatilità delle borse e dei rendimenti. (riproduzione riservata)
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