Nata poco più di vent’anni fa per bloccare le lavanderie criminali, la disciplina antiriciclaggio ha nel corso del tempo cambiato pelle, divenendo sempre più complessa e onerosa per i suoi destinatari. La normativa è densa di coni d’ombra che possono far sorgere più di un dubbio su come registrare e se segnalare una operazione. Il risultato? Dati statistici alla mano, nel 2012 le segnalazioni sono state quasi 70 mila, pari al triplo di quelle del 2008. Maggior coscienza della norma o timore di ricevere sanzioni? La verità, come spesso accade, sta nel mezzo, anche se non v’è dubbio che una norma severa e oscura non possa che sortire un incremento di prudenza, che, se condotto all’eccesso, può finire col frustrare la finalità stessa della disposizione. In tale contesto di incertezza, il 3 aprile 2013 la Banca d’Italia ha emanato il provvedimento recante le disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela, con cui vengono specificati i criteri previsti dal dlgs 231/2007 per la predisposizione di quei «sistemi valutativi e processi decisionali chiari, oggettivi, periodicamente verificati e aggiornati» adottati dalla banche. Ad alzare il livello di guardia nella valutazione del rapporto con la clientela contribuiranno fattori come la finalità per la quale viene costituita una società, l’oggetto e le modalità con cui la medesima opera, o ancora eventuali difficoltà nell’individuazione del titolare effettivo dell’operazione, individuazione che, come noto, fa sudare sportellisti e private banker – specie quando vi siano di mezzo lunghe filiere partecipative con interposizioni fiduciarie, trust o holding estere. Al riguardo, l’allegato prevede che titolare effettivo dell’operazione sia il socio di controllo da determinarsi, fatta salva la soglia del 25%, ai sensi degli artt. 2359 cod. civ. e 93 del Tuf, con ciò rilevando situazioni di fatto, accordi commerciali ovvero patti parasociali, spesso difficilmente individuabili. Più facile dipanare la matassa solo per le società ad azionariato diffuso o le cooperative, là dove l’allegato, in taluni casi, individua il titolare effettivo negli amministratori.

Si dà altresì rilievo autonomo alla distanza tra la filiale dell’intermediario rispetto alla sede di affari dell’impresa corrispondente, ai rapporti intrattenuti dai clienti dell’intermediario con soggetti residenti in stati extra Ue e, in tal caso, ai mezzi di pagamento impiegati. In ogni caso, se non giustificato, l’uso di banconote di taglio elevato può divenire un allarme: rosso nel caso di servizi di private banking. E se l’adeguata verifica è impossibile? Ci si astiene.

Semplice, no? Difatti l’art. 23, comma 1-bis dlgs 231/2007 imporrebbe all’intermediario di restituire al cliente i fondi, gli strumenti e le altre disponibilità finanziarie liquidandone il relativo importo tramite bonifico su un conto indicato dal cliente stesso, recante la causale di impossibilità di verifica. Soluzione discutibile e in taluni casi problematica (si pensi ai rapporti di mutuo, ovvero a un portafoglio titoli): tanto discussa che Abi e Mef hanno convenuto di congelare la norma (tecnicamente una sospensione condizionata) sino a chiarimenti da parte dell’amministrazione. La semplificazione sembra assumere i tratti del miraggio, mentre l’accrescimento degli oneri per i destinatari delle norme pare una certezza. Ma la doglianza non conduce a nulla, posto che la scelta di una maggior responsabilizzazione dell’intermediario è ormai, giusta o sbagliata, una strada senza ritorno. Le linee guida entreranno in vigore l’1 gennaio 2014. La data sembra distante ma non lo è affatto. Ripensare per tempo l’intera procedura e ristrutturarla con largo anticipo costituisce l’unico vero salvacondotto in caso di contestazioni da parte delle autorità. Evento, questo, sempre più probabile.

Roberto Pavia