di Alberto Micheli
Volatilità. È questa la parola chiave che usano gli operatori quando non sanno che pesci pigliare. E mai come nel caso del referendum inglese questa lettura appare veritiera. Nelle ultime settimane si è infatti passati dal pessimismo più profondo all’euforia più spinta, sull’onda di sondaggi più o meno attendibili, ma anche delle mutevoli quote degli un tempo infallibili bookmaker inglesi. E alla fine, nessuno ci ha capito niente. Ed ecco allora la tanto paventata volatilità, che a livello matematico registra l’aumento della velocità di movimento del mercato, ma che in pratica misura il livello di tensione degli operatori, in questo momento alle stelle, oltre alla diffusa incertezza nella strada da intraprendere.

Questa chiave di lettura più emotiva si traduce tecnicamente nella cosiddetta volatilità implicita, un parametro che non viene calcolato sulla base dell’andamento storico dei mercati e che non misura quindi l’ampiezza dei movimenti passati, ma incorpora le aspettative future degli operatori in opzioni, e quindi riflette il sentiment del mercato in ottica previsionale: tanto più alta sarà la volatilità implicita, tanto maggiore sarà la tensione che si teme potrà abbattersi sui prezzi. In modo semplificato, le opzioni sono come dei contratti di assicurazione che attribuiscono al sottoscrittore un certo diritto, esercitabile a sua discrezione. Ecco, la volatilità implicita è un po’ come la classe di rischio delle assicurazioni auto: quanto maggiore sarà la percezione del rischio legato a un certo evento, tanto maggiore sarà il prezzo dell’assicurazione che si dovrà/vorrà pagare per tutelarsi da uno scenario avverso. Nel caso dei mercati finanziari, dove l’andamento dei prezzi è determinato dall’equilibrio tra domanda e offerta, succede che il prezzo delle opzioni tenderà a salire quanto più gli operatori saranno disposti a pagare la propria assicurazione, cioè quanto più saranno incerti in merito al trend in atto in un dato momento. E quanto più salirà il prezzo, tanto più implicitamente salirà la volatilità, che in questa veste finisce per diventare lei stessa oggetto di trading.

Il più noto indice di volatilità implicita è l’americano Vix (Cboe Volatility Index), che rappresenta la volatilità implicita delle opzioni sull’indice azionario Usa S&P500 e misura quindi il livello di tensione degli operatori sul mercato a stelle e strisce. Come si può notare dal grafico, nelle ultime settimane la sua quotazione ha accelerato con decisione al rialzo, scontando proprio il nervosismo degli operatori nella fase di avvicinamento alla data del voto inglese. Ieri, dopo l’esito del referendum, il benchmark è balzato sui massimi da febbraio, registrando l’inevitabile aumento del nervosismo post Brexit.

Dal punto di vista operativo, questa dinamica può essere sfruttata proprio con le opzioni, anche se quest’ambito presuppone un’approfondita conoscenza del mercato: call o put che sia, l’acquisto di un’opzione determina un’esposizione rialzista sulla volatilità implicita e in una fase come quella attuale può rivelarsi vincente. Tanto più che oggi è sempre più difficile prevedere la direzione di movimento dei mercati, mentre è abbastanza facile prevedere un aumento della tensione in senso generale. Restando in ambiti più orientati alla clientela retail, si può invece trovare qualche opportunità interessante tra i covered warrant quotati sul SeDeX, che altro non sono che opzioni vendute al dettaglio: l’offerta è molto ampia, ma anche qui è richiesta una conoscenza approfondita del mercato, sia in termini di funzionamento dei prodotti, sia di corretta valutazione degli stessi. Pagare una volatilità implicita troppo alta determina un conseguente aumento dei rischi di perdita. (riproduzione riservata)
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