di Anna Messia
Sei miliardi di utili. A tanto ammontano i guadagni realizzati complessivamente nel 2015 dalle imprese assicurative italiane, il quarto anno di fila chiuso a questi alti livelli. Ma ora la strada si è fatta in salita, con i bassi d’interesse che mettono a rischio la redditività del settore e con le imprese più piccole che fanno fatica a tenere il passo delle nuove regole di Solvency II. Mentre proprio quest’anno l’industria dovrà affrontare un nuovo stress test europeo, nel quale l’ipotesi di un ulteriore abbassamento della curva dei rendimenti si aggiunge quella di una forte svalutazione di bond, azioni, fondi e immobili, decisamente più severo quindi di quello realizzato a fine 2014 da cui l’Italia era uscita meglio di altri Paesi. La fotografia è stata scattata ieri dal presidente dell’Ivass e direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, durante la relazione annuale dell’istituto di controllo del settore assicurativo. Un quadro da cui emerge che lo stato di salute delle assicurazioni italiane è buono, ma non si può abbassare la guardia: la redditività, misurata dal return on equity (roe), ha sfiorato il 10% nel comparto vita e ha oltrepassato il 7% nei danni. In valore assoluto si tratta appunto di poco meno di 6 miliardi di euro, cui due terzi arrivano dal comparto vita. «Il roe delle banche ha appena oltrepassato il 3% lo scorso anno, dopo quattro anni di risultati in perdita», ha detto Rossi con un parallelo, ricordando che, secondo i dati Ocse, fermi però al 2014, mentre la redditività delle compagnie assicurative spagnole si confronta grosso modi con quella delle italiane, in Francia e in Germania i risultati dono decisamente più modesti. L’anno scorso la raccolta premi complessiva è cresciuta poi del 2,5%, a 150 miliardi, arrivando a rappresentare il 9% del pil, trainata dal comparto vita e gli attivi complessivi hanno raggiunto i 700 miliardi.
Insomma «le nostre imprese sono riuscite finora a sfuggire abbastanza alla bonaccia dei tassi di interesse, veleggiando a buon ritmo», ha aggiunto il presidente dell’Ivass ma ora la domanda è capire quanto questo fenomeno potrà durare. Le imprese italiane, rispetto alle concorrenti europee, hanno una migliore corrispondenza tra attivo e passivo, e alla fine dell’anno scorso il complesso delle imprese assicurative italiane disponeva di fondi propri ammissibili per assolvere al requisito di capitale pari a quasi 120 miliardi, 2,4 volte il livello minimo consentito, calcolato sulla base dei nuovi requisiti di Solvency II. «La persistenza nel tempo di tassi d’interesse così bassi, tuttavia, non può non preoccupare alla lunga anche le compagnie italiane e l’Ivass che vigila su di loro», ha detto Rossi. Anche perché se è vero che i nuovi metodi per commisurare il capitale proprio ai rischi consentono a molte aziende di esibire un livello di capitale di solvibilità più alto di quello rilevato con Solvency I è altrettanto vero che la volatilità è decisamente più alta del passato. I valori di Solvency II emersi nel settore ci hanno fatto tirare «un sospiro di sollievo», ha detto Rossi aggiungendo però che bisogna stare attenti perché ora è tutto molto più volatile in quanto basato sui prezzi di borsa. «Di fronte alla volatilità stiamo tutti calmi e monitoriamo bene», ha detto spigando che le compagnie potrebbero essere tentate di forzare le nuove regole sfruttando le pieghe della regolamentazione «Tutte le imprese europee faranno questo tentativo ma noi tutte autorità europee, sotto l’ombrello dell’Eiopa, faremo resistenza», ha concluso. (riproduzione riservata)
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