di Paola Valentini

 

Il cantiere previdenza? Non è affatto chiuso. L’Italia ha varato negli anni scorsi una radicale riforma del sistema previdenziale pubblico che è all’avanguardia anche rispetto agli altri Paesi europei. Ma nonostante gli sforzi profusi, questi mutamenti non sono sufficienti a porre il sistema pensionistico su un sentiero di sostenibilità sul lungo termine.

Particolarmente critica è la situazione dei lavoratori autonomi, perché gli interventi effettuati hanno drasticamente tagliato la pensione che potranno ricevere fra 30-40 anni, ma non hanno invece ridotto i cospicui assegni di chi sta per andare in pensione. Assonime, nel documento presentato ieri, propone alcune idee proprio in tema di previdenza pubblica per riformare il bilancio italiano nel rispetto dei vincoli europei. «Le riforme delle pensioni intraprese negli ultimi anni prevedono di stabilizzare la spesa pensionistica, ma a un livello più alto che negli altri Paesi europei. Inoltre tale stabilizzazione è ottenuta al costo di una forte compressione dei trattamenti pensionistici delle generazioni future di lavoratori dipendenti e soprattutto autonomi». Secondo le stime della Ragioneria generale i lavoratori dipendenti che andranno in pensione nel 2060 riceveranno poco più della metà dell’ultimo stipendio e i lavoratori autonomi addirittura poco più del 30% contro i valori attuali del 70% per entrambe le categorie. «La situazione demografica e il basso livello di occupazione femminile sono le cause principali dell’elevato livello di spesa pensionistica per vecchiaia e trattamenti di reversibilità, pari al 14,1% del pil contro una media Ocse del 7%», sottolinea Assonime. «Il confronto internazionale indica che è centrale ridurre gradualmente, ma significativamente l’incidenza della spesa pensionistica sul pil anche per fare spazio ad altre forme di welfare che favoriscano l’occupazione femminile e le politiche per la famiglia», aggiunge Assonime. Per questo occorre accelerare l’aumento dell’età pensionabile per arrivare a una pensione di vecchiaia per gli uomini a 70 anni entro il 2040, anziché a 68,5 anni entro il 2050 secondo le regole attuali. Ma Assonime propone anche una soluzione più radicale: «La trasformazione del sistema pensionistico pubblico in un sistema di conti a capitalizzazione individuale appartenenti al lavoratore e depositati in gestione presso un amministratore di fondi pensione che può essere anche la stessa Inps purché in concorrenza con altri gestori». Una sorta di fondo pensione, dove il ruolo dello Stato «si ridurrebbe gradualmente all’integrazione delle pensioni minime con entrate tributarie e alla fissazione delle regole e degli standard gestionali dei singoli conti ad accumulazione». I fondi in questione dovrebbero essere gestiti come conti privati del tutto estranei alla finanza pubblica con benefici effetti anche sui mercati dei capitali visto il forte aumento dei risparmi disponibili per investimenti a lungo. In questo contesto resta comunque prioritario il rilancio di un valido sistema di previdenza complementare per rendere socialmente sostenibile il sistema. (riproduzione riservata)