di Angelo De Mattia

La gestione di Antonio Catricalà, ma sarebbe giusto dire di tutto il collegio, si è caratterizzata per una buona spinta innovativa dell’Antitrust, cercando di ispirarsi al principio secondo il quale senza concorrenza è a rischio la stessa crescita dell’economia. Il mandato del presidente dell’Antitrust scadrà a marzo e, dunque, la relazione svolta ieri da Catricalà è anche un consuntivo (di soddisfazione misto al rammarico perché il processo riformatore dell’Autorità si è fermato) dell’opera compiuta sotto la sua presidenza. Lo stimolo all’efficienza delle imprese senza vessazioni sanzionatorie e senza l’imposizione di oneri burocratici è la cifra dell’attività complessiva di Catricalà. Di qui l’importanza assunta dalla presentazione della sua attività, e degli impegni assunti dei soggetti inquisiti per prevenire le procedure sanzionatorie, che ha dato significativi risultati in campi che vanno dagli operatori mobili virtuali alle farmacie, fino ai carburanti.

 

Insieme a tale prassi, il presidente ricorda anche quella dei programmi di clemenza e le misure cautelari; poi dà conto della lotta ai cartelli. Catricalà tiene a sottolineare, dopo aver ricordato l’acquisizione delle competenze in materia bancaria nel 2005, che l’Autorità, per la prima volta nella storia della vigilanza, ha promosso la rimozione delle cointeressenze e degli incroci di partecipazioni azionarie e personali. Si tratta, tuttavia, di una materia nella quale c’è ancora molto da fare per conseguire quella spinta competitiva alla quale il presidente fa riferimento. Ma questi sottolinea anche la nuova dimensione del diritto dei privati promossa dall’Antitrust per assicurare l’interesse del cliente alla realizzazione della prestazione promessa e a corretti rapporti prima, durante e dopo il contratto e a prescindere da esso. E a tal proposito egli cita i settori delle riparazioni, delle lotterie, della salute. Catricalà è duro quando afferma che il tema delle liberalizzazioni è scomparso dalle priorità dell’agenda politica e il disegno di legge sulla concorrenza non ha mai visto la luce, mentre si rafforzano interessi particolari in diversi settori. Tutto ciò alimenta la sfiducia, rallenta l’ammodernamento del Paese, indebolisce la sfida ai monopoli. Le richieste di intervento legislativo, aggiunge Catricalà, sono ignorate dopo sei anni di applicazione della legge sul conflitto di interessi. Si potrebbe osservare, a questo punto, che il meglio di sé l’Autorità garante lo ha dato, in questi anni, quando è riuscita a coordinare la propria azione con quella prevista da un’agenda politica ispirata da una volontà identica di favorire l’apertura dei singoli mercati, di considerare la concorrenza non un lusso da concedersi solo nelle fasi di espansione dell’economia, di difendere i consumatori, di rafforzare, per tale via, la competitività del sistema. E spesso a questa agenda convergente ha lavorato anche l’Autorità garante. Non si è consolidata ancora, in Italia, una vera cultura consumeristica, ma l’Antitrust, dice Catricalà, partendo dalla ferma convinzione della centralità della persona si è mossa nella linea secondo la quale il mercato ha senso solo se attribuisce ai cittadini una sovranità economica diffusa, che è indice di libertà civile. Un lungo esercizio di accountability, ancorché svolto con la concisione caratteristica delle relazioni di Catricalà, informa su tutti i numerosi interventi dispiegati nell’anno trascorso. Nel complesso, si è trattato di un rapporto svolto in forma non enfatica, ma chiaro e incisivo, del lavoro svolto.

Certo, se si pensa a ciò che prima del 2005 si affermava che si sarebbe potuto ottenere se le competenze in materia di concorrenza bancaria fossero passate, come poi è accaduto, dalla Banca d’Italia all’Antitrust, oggi si potrebbe essere delusi. Ma quelle affermazioni erano pura demagogia, sostenute da chi aveva un interesse a contrastare l’Istituto di Via Nazionale, non certo a migliorare la concorrenza nel sistema bancario. I legislatori del 2005 sapevano bene che i passi avanti non sarebbero stati eccezionali, perché Bankitalia, considerato l’ordinamento vigente, aveva svolto i propri compiti con puntualità.

Ugualmente un po’ di delusione si può avere per i carenti accenni, nella relazione, ai rapporti con l’Antitrust comunitario, ai futuri sviluppi che, nel lungo termine, potrebbero mettere in forse anche l’esistenza di una autonoma struttura nazionale rispetto a quella europea, ma anche per l’inesistenza di riferimenti al necessario processo di riforma delle Autorità di regolazione, garanzia e controllo: nel momento in cui ci si avvia a completare gli ultimi mesi di una buona presidenza, questo tema non avrebbe dovuto essere sottratto alla relazione, che è quasi conclusiva del mandato.

Ma al di là di queste ultime osservazioni e di altre che pure potrebbero essere mosse, senza che però venga intaccato un giudizio di fondo complessivamente positivo sulla relazione, toccherebbe ora al governo rispondere, con i fatti, non con le parole, alle dure critiche che Catricalà ha sviluppato su liberalizzazioni e concorrenza, sul contributo che la ripresa di questi temi può dare alla crescita, sul non cedimento alle lusinghe del neostatalismo, che è cosa diversa, però, da una corretta valorizzazione del pubblico, nell’osservanza dei principi del buon andamento e dell’efficacia dell’azione amministrativa, dallo stesso Catricalà richiamati. E sul delicatissimo argomento del conflitto di interesse.

È anche alle liberalizzazioni che ci si riferisce quando si sostiene la necessità di includere nella manovra di finanza pubblica le riforme di struttura. Staremo, dunque, a vedere se alle condivisioni dichiarate della relazione seguiranno coerenti comportamenti del governo (e del Parlamento). (riproduzione riservata)