di Luca Gualtieri

Già nel primo giorno di offerta l’aumento di capitale del Monte dei Paschi ha dato uno scossone agli assetti proprietari della banca. Mentre in Piazza Affari l’operazione seguiva lo stesso copione dello scorso anno, nel patto di sindacato si sono registrati movimenti assai significativi. Da un lato la Fondazione Mps, ex azionista di riferimento della banca senese, ha annunciato che, dopo una vendita di azioni sul mercato, la propria partecipazione è scesa dal 2,5 all’1,55%, quota per la quale l’ente sottoscriverà l’aumento per un esborso di 22 milioni.

L’istituzione guidata da Marcello Clarich ha insomma preso una decisione salomonica, che si pone a metà strada tra gli estremi prospettati nelle ultime settimane. In questo modo Palazzo Sansedoni continuerà a mantenere una presenza diretta nella conferitaria, pur senza impegnare eccessive risorse finanziarie nell’operazione. Sempre ieri è emerso che l’altro socio pattista, Btg Pactual, ha ridotto la quota dal 2 all’1,9% proprio nei giorni che hanno proceduto l’avvio della ricapitalizzazione. Dallo scorso 16 maggio ognuno dei tre pattisti può cedere fino all’1% della propria partecipazione, mentre il prossimo primo luglio per Btg Pactual scadrà il secondo vincolo di lock up e dunque il gruppo brasiliano sarà libero di disinvestire interamente. Se al momento non è chiaro come si muoverà Btg, l’unica certezza è che il terzo pattista, Fintech advisory (socio al 4,5%), aderirà alla ricapitalizzazione pro quota. 
L’investitore messicano ha sottoscritto un contratto di sub-underwriting con il global coordinator Ubs per un ammontare massimo pari al corrispettivo pro quota, cioè 135 milioni. Alla luce delle trasformazioni in corso è chiaro che l’attuale patto di sindacato sta rapidamente cambiando volto. Alla luce di queste trasformazioni non è ancora chiaro che cosa accadrà dopo l’aumento di capitale, se cioè l’alleanza sarà ridefinita con gli stessi partner oppure se ci sarà un ricambio. Ieri Clarich si è limitato a dichiarare che dopo l’aumento la Fondazione «esaminerà i vari scenari anche per rafforzare il patto esistente». Di certo a Palazzo Sansedoni è indispensabile un’alleanza con gli altri azionisti per incidere sulla governance dell’istituto e non finire definitivamente marginalizzato.

Ieri intanto l’attenzione del mercato è stata polarizzata sul trend borsistico del Monte. Le azioni non hanno aperto per tutta la seduta, segnando in chiusura un prezzo di 2,14 euro (+11,3%), mentre i diritti hanno perso il 18,4% a 6,14 euro. Sommando i valori di titolo e diritto si ottiene un prezzo di 8,28 euro, livello inferiore di circa il 12% rispetto ai 9,45 euro di venerdì. La spiegazione di questi movimenti sta nella struttura stessa dell’aumento che prevede l’emissione di un notevole numero di nuovi titoli, offerti nel rapporto di 20 ogni titolo posseduto.

Ciò determina tra l’altro un fortissimo effetto diluitivo: i soci che decidessero di non sottoscrivere l’aumento potrebbero veder diluita la propria partecipazione fino al 90,9%. Per questo oggi agli investitori conviene vendere i diritti e acquistare le azioni, visto che l’impegno economico risulta minore e non si aumenta troppo l’esposizione. Un’altra spiegazione andrebbe poi ricercata nelle ricoperture. Chi aveva una posizione corta sul titolo, con l’avvio dell’aumento si ritrova ad avere una posizione short anche sui diritti e quindi il livello di rischio assunto aumenta. Così gli investitori iniziano a ricoprirsi. Questo fenomeno interessa soprattutto chi ha venduto opzioni call sulle azioni. In questo caso infatti l’investitore dovrà riconsegnare al cliente molti più titoli rispetto a prima, visto che il moltiplicatore del titolo alla base delle opzioni aumenta vistosamente. (riproduzione riservata)