di Leonardo Comegna

Mille euro di contribuzione accantonata nell’anno 2014, utile per il nuovo calcolo della pensione con il sistema contributivo (introdotto dalla legge n. 335/1995, riforma Dini), nel 2016 valgono soltanto 1.005,05 euro. È il magro frutto della variazione media del prodotto interno lordo (pil) nominale (i risultati non certo eclatanti del pil sono sotto gli occhi di tutti), verificatasi nell’ultimo quinquennio. Il valore è stato recentemente indicato all’Inps nel messaggio n. 1130/2016. Ma vediamo di spiegare meglio di cosa si tratta.

Pensione dei giovani. I maggiori interessati al nuovo criterio di calcolo della rendita sono i giovani. Il meccanismo del metodo contributivo è abbastanza semplice. Tre i parametri cui fare riferimento: la retribuzione, la cosiddetta aliquota di computo e il coefficiente di trasformazione del montante contributivo. In poche parole, con il versamento dei contributi il lavoratore accantona il 33% (aliquota di computo dei dipendenti) della propria retribuzione.

Il conto contributivo viene rivalutato annualmente sulla base della dinamica quinquennale del pil (il prodotto interno lordo). Alla data del pensionamento, al montante accumulato, la sommatoria dei versamenti effettuati e rivalutati, si applica un coefficiente di conversione correlato all’età.

Occorre aggiungere che i coefficienti di trasformazione di cui sopra sono stati recentemente rivisti (al ribasso) proprio con decorrenza 2016: 4,589%, per chi sceglie di lasciare il lavoro a 60 anni, al 4,856% per chi resiste fino a 62 anni e al 5,700% per chi decide di arrivare fino a 67 anni.

Montante rivalutato. Come si è detto, il montante si ricava applicando alla base imponibile (retribuzione, o reddito) l’aliquota di computo: 33% per i lavoratori dipendenti, 23,10% per gli autonomi (che salirà al 24% dal 2018) e 31% per i co.co.co. iscritti alla Gestione separata Inps.

La somma così ottenuta si rivaluta su base composta al 31 dicembre di ogni anno, con esclusione della contribuzione dello stesso anno, al tasso di capitalizzazione dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (pil) nominale, calcolato dall’Istituto nazionale di statistica. Con la nota di cui sopra l’Inps, sulla base dei dati Istat, ha comunicato il tasso di capitalizzazione per l’anno 2016 (1,005058, media quinquennio precedente), indice utile per rivalutare il montante maturato alla data del 31 dicembre 2014, che con l’aggiunta degli accantonamenti relativi al 2015 e 2016, serve praticamente a liquidare le pensioni con decorrenza nell’anno in corso.

Pil negativo. Vale la pena ricordare che il dato fornito dall’Istat lo scorso anno, relativo ai contributi accantonati nel 2013, presentava un valore negativo: meno 0,998073. Ciò (in teoria) voleva dire che chi alla data del 31 dicembre 2013 aveva accumulato 100 mila euro, nel proprio salvadanaio Inps, al 31 dicembre 2014, si sarebbe ritrovato 99.807 euro: cosa impensabile.

Per sanare questa imprevedibile situazione è dovuto intervenire il governo con una norma ad hoc. Infatti con il decreto legge n. 65/2015, il provvedimento che ha messo una toppa agli esborsi che sarebbero scaturiti dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale del «blocco» della perequazione delle pensioni d’importo superiore a 3 volte il minimo, voluto dal «decreto SalvaItalia» firmato dalla coppia Monti-Fornero, è stato stabilito che il tasso di rivalutazione del montante non può in ogni caso risultare inferiore a uno.
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