di Paola Valentini
Provate a chiedere a un consulente finanziario oggi dove mettere i soldi. La risposta che avrete? E’ questa: dipende dai vostri obiettivi. D’altra parte non è più come una volta, quando bastava comprare Btp per avere una rendita ricca e sicura. Oggi tassi ai minimi ed elevata volatilità anche sul reddito fisso hanno di fatto annullato l’appeal del porto sicuro dei Btp e, di conseguenza, hanno promosso la consulenza a fattore che può fare davvero la differenza. Ma questa rivoluzione sta dando non poco filo da torcere ai banker che gestiscono da vicino i clienti retail. Perché le opzioni di investimento si sono fatte più complicate, mentre nel frattempo la raccolta è su livelli record. Risultato? Alla prova dei fatti, se sulla carta non si guarda più soltanto allo strumento in sè ma alla finalità per cui si investe (quindi risparmiare per i figli, piuttosto che per la pensione, per andare a farsi una vacanza da sogno oppure per comprare una casa), in pratica la raccolta messa a segno dalle reti di consulenti nell’ultimo anno ha premiato soprattutto i parcheggi di liquidità che sono cresciuti del 30% a 66,9 miliardi di euro, ovvero il 14,2% del patrimonio totale delle famiglie italiane nelle mani delle reti (dati Assoreti). Un aumento di gran lunga superiore a quello del risparmio gestito che nel 2016 ha fatto +7,6% (342 miliardi). Proprio grazie al boom della liquidità il risparmio che fa capo alle reti è salito ai massimi storici (471,1 miliardi di euro), +8,5% rispetto a dicembre 2015. Come è emerso anche da Consulentia2017, la tre giorni sul risparmio organizzata dall’Anasf, l’associazione nazionale dei consulenti finanziari, il momento attuale è propizio per conquistare nuove quote di mercato soprattutto al mondo bancario, reduce da una crisi di fiducia da cui sta lentamente uscendo. La posta in gioco d’altra parte è alta. Il risparmio degli italiani vale oggi 4 mila miliardi di euro. Di spazi per crescere ancora ce ne sono parecchi anche approfittando della scelta di molti dipendenti di banca di lasciare lo sportello per sposare il mestiere di consulente finanziario. Abbandonare la sicurezza del lavoro in banca per passare alla libera professione non è un passaggio facile. Ma oggi, vista la situazione di difficoltà delle banche, sempre più banker decidono di fare questo salto. D’altra parte anche le banche, spinte dalla necessità di riqualificare il personale allo sportello, stanno convertendo in consulenti finanziari i propri dipendenti.
Proprio per questi motivi il numero complessivo dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede iscritti all’albo negli ultimi due anni è tornato a crescere superando quota 55 mila unità (dati Ocf, Organismo dell’Albo dei consulenti finanziari). In questi dati «trova conferma uno dei fenomeni più recenti nel settore ossia il maggiore interesse degli istituti di credito verso il collocamento di prodotti e servizi tramite l’offerta fuori sede», spiega l’ultima relazione annuale dell’Ocf.

Senza dimenticare l’avanzata dei robo-advisor, ovvero della consulenza automatizzata a basso costo che sta prendendo sempre più piede, anche in Italia. Uno studio di Morgan Stanley analizza l’impatto dei robo-advisor sulle reti di consulenza concludendo che non metteranno in crisi le reti fisiche di consulenti finanziari che resteranno comunque protagoniste del mercato. Anzi. Tutto il mercato può guadagnare dall’arrivo dei robo-advisor perché, spiega Morgan Stanley, le soluzioni tencologiche permettono di aumentare la produttività, dominuire i costi e raggiungere i clienti di piccola taglia, che sarebbe altrimenti poco economico farli seguire dal singolo consulente. «Combinare la tecnologia con le reti fisiche sembra una strada vincente per tutti, per questo motivo ci aspettiamo che molti grandi operatori la percorrano», osserva Morgan Stanley. Alcuni esempi di soluzioni fintech che vivono in simbiosi con reti fisiche ci sono anche in Italia. E’ il caso di CheBanca!, la banca multicanale del gruppo Mediobanca che nei mesi scorsi ha lanciato il suo robo-advisor Yellow Advice. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Finecobank con X-net. Mentre, sempre in Italia il colosso tedesco Allianz Global Investors (intervista a pagina 14) lo scorso anno ha rilevato una quota di Moneyfarm, società di consulenza finanziaria online. In sostanza i risparmi di costi che la consulenza automatizzata permette di ottenere permette di arginare la pressione sui ricavi originata dalla maggiore spinta di prodotti passivi low cost come gli Etf.

Tipicamente i portafogli dei robo-advisor forniscono un’asset allocation che poi, per ridurre i costi, viene implementata tramite Etf. Che, anche al di fuori del mondo dei robo-advisor, negli ultimi tempi hanno avuto un boom di raccolta. Ma ora, con mercati sempre più correlati e in vista della minor presenza delle banche centrali sui mercati, l’ago della bilancia torna a pendere verso la gestione attiva. «Ci sono stati solo quattro anni dal 1970 a oggi dove un portafoglio diversificato ha registrato ritorni negativi, l’ultima volta nel 2015 sull’onda delle prospettive deflazionistiche globali e sulla tensione di alcuni asset class obbligazionarie. Oggi ci troviamo in una situazione che rende più plausibile un ritorno ai fondamentali con una crescita debole ma positiva, tassi d’interesse reali positivi negli Usa e una situazione più chiara in Cina. Un ritorno ai fondamentali provocherà lo stesso effetto che vedremmo con tante barche che si erano trovate a galla grazie all’alta marea monetaria e oggi si ritrovano a urtare, in alcune fasi, i fondali», afferma Alessandro Aspesi, country head Italy di Columbia Threadneedle Investments.
Il cambiamento di scenario è scattato la scorsa estate quando in Europa e negli Usa è stato raggiunto il punto minimo dei tassi. I tassi bassi hanno penalizzato per molto tempo la gestione attiva. Che ora invece ha le condizioni per tornare a produrre performance. «Dopo un anno complessivamente difficile, i gestori attivi potrebbero ricominciare a offrire ai clienti un servizio caratterizzato da un pricing migliore e una performance più trasparente, allineando i costi agli obiettivi di investimento. Allo stesso tempo, i cosiddetti free cost degli investimenti passivi potrebbero risentire della volatilità, che tende ad ampliare gli spread, alzare gli interessi passivi e accentuare illiquidità e concentrazione delle posizioni, tutti elementi che potrebbero erodere i rendimenti dei prodotti indicizzati», avverte Neil Dwane, global strategist di Allianz Global Investors. A ciò si aggiungono le novità normative. «Gli ulteriori sforzi volti a controllare l’high-frequency trading e aumentare l’imposizione fiscale sulle operazioni finanziarie, nonché i cambiamenti normativi introdotti dalla Mifid II (in arrivo dal 2018, ndr), potrebbero comportare un ulteriore aggravio dei costi: tutto ciò evidenzierebbe quindi i vantaggi di una valida gestione attiva», osserva Dwane.

E i grandi investitori sono pronti ad approfittarne, riducendo il cash in portafoglio. Come emerge da un recente sondaggio di BlackRock, secondo cui gli operatori istituzionali sarebbero intenzionati a tornare a investire la loro liquidità nel 2017. Tra le istituzioni interpellate, una su quattro (25%) intende ridurre le allocazioni di contanti nel corso dell’anno, quasi il doppio di quelle che invece prevedono di incrementare le posizioni di liquidità (13%). Il sondaggio mostra chiaramente la tendenza all’investimento del cash nel 2017, non appena gli investitori istituzionali prevedranno di investire in attività meno liquide. Una strada che potrebbero seguire anche i consulenti finanziari che, come si diceva, hanno realizzato una raccolta record su strumenti di liquidità.
In questo contesto il suggerimento che arriva dalle società di gestione è quello di puntare sui fondi che danno carta bianca al money manager di spaziare tra le varie classi di attivi, ovvero i multi asset. Sono i flessibili di una volta, che da semplici comparti che contenevano azioni o bond, oggi si sono trasformati in prodotti più sofisticati che inseriscono in portafoglio anche altri asset come commodities, strumenti alternativi, valute. In seguito alla crisi finanziaria del 2008, l’industria del risparmio gestito, non solo italiana ma di tutta Europa ha registrato quindi una crescita considerevole delle strategie di tipo multi asset. «L’insieme di bassi tassi di interesse, bassa inflazione, crescita economica stagnante e valutazioni elevate di molte asset class tradizionali sta spingendo gli investitori a cercare fonti alternative di rendimento e a diversificare il proprio portafoglio per raggiungere i loro obiettivi», afferma Erik Knutzen, capo degli investimenti multi asset class di Neuberger Berman. Uno spettro più ampio per cogliere opportunità da un maggior numero di asset in un contesto di tassi che restano comunque ancora bassi. Il risk free infatti non rende più nulla.

«In un mercato oltremodo sfidante, gli investitori devono confrontarsi con la realtà di investimenti tradizionalmente ritenuti sicuri, come i bond governativi, i cui rendimenti sono ai livelli più bassi di sempre. Al contempo, il comportamento di altre asset class si dimostra sempre più sensibile ad aspetti emotivi, richiedendo un approccio agli investimenti innovativo e flessibile, in grado di fronteggiare la volatilità», afferma Ewout van Schaick, capo del multi asset portfolios di NN Investment Partners.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Koen Van de Maele, viceresponsabile degli investimenti di Candriam: «Ci troviamo in un territorio inesplorato in cui le correlazioni potrebbero evolvere in qualsiasi senso. Il rischio politico osservato nel 2016 sarà affiancato dalle elezioni in Europa e dalla nuova presidenza Usa. Esistono varie modalità di ripensare il processo di investimento per prepararsi a tali rischi e nuove fonti di diversificazione possono contribuire a ridurre la volatilità. Un adeguamento del processo di investimento e l’utilizzo di una gamma di fondi a rendimento assoluto con strategie di diversificazione potrebbero aiutare a ottenere rendimenti positivi, una volta considerato il rischio».

Gli fa eco Santo Borsellino, ceo di Generali Investments, «in un momento in cui i rendimenti sono ai minimi storici e la volatilità è di nuovo all’ordine del giorno, i nostri clienti ci chiedono sempre più spesso soluzioni di investimento efficaci, in grado di generare ritorni senza concentrare i rischi di mercato in un’unica classe di attivi». Di qui il nuovo ruolo dell’asset allocation nel garantire rendimenti adeguati. «Un’allocazione efficiente del patrimonio è essenziale per generare buoni risultati ed evitare il rischio di investire in asset che, pur offrendo un reddito, sono sopravvalutati e potrebbero pesare sulla performance nel medio termine», spiega Maria Municchi, deputy fund manager del fondo M&G income allocation. I flessibili, diventati il cavallo di battaglia di molte società, sono dunque il contenitore all’interno del quale si impostano i portafogli in base alla visione che ha il gestore del mercato. Di qui l’enorme differenza di rendimenti tra i fondi flessibili. Come emerge da un’analisi di Morningstar che ha elaborato la classifica dei migliori fondi bilanciati flessibili per rendimento nell’ultimo anno (tabella a pagina 13). Come si può vedere tra i migliori e i peggiori c’è una distanza di molti punti percentuali. Senza considerare i fondi flessibili che appartengono alle altre categorie, come ad esempio gli obbligazionari. «Non tutti i gestori godono della flessibilità per reagire in maniera dinamica ai cambiamenti di mercato; non tutti hanno una portata globale, che permetta di cogliere le opportunità di investimento in qualsiasi mercato si presentino; e pochi hanno un track record consolidato con strategie che hanno dimostrato il loro valore in diverse fasi del ciclo economico», avverte Marco Palacino, managing director per l’Italia di Bny Mellon Investment Management. E qui entra il gioco l’abilità del consulente: «In altre parole, per l’investitore finale è importante scegliere attivamente il proprio gestore», conclude Palacino, «anche con l’ausilio dei consulenti e degli intermediari finanziari, così come al gestore spetta poi il compito di muoversi attivamente sui mercati». (riproduzione riservata)
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