Avv. Gianluca Messercola.

TRIBUNALE DI ROMA – GU DOTT. MORICONI – SENTENZA N. 1138/2017 DEL 24.01.2017

Nel complesso meccanicismo della responsabilità medica, le chances entrano nel sistema risarcitorio con forza autonoma e meritano, secondo la sentenza in commento, un approccio valutativo – sulla singola fattispecie – del tutto disancorato, rispetto alla domanda che miri ad accertare la probabilità di realizzazione di un determinato trattamento medico.

Si parla, in concreto, di perdita delle chances di sopravvivenza in senso proprio, allorquando l’atto colposo del medico ha privato la vittima non della certezza, ma della mera speranza di guarire. Le chances, quindi, come più volte ricordato dal Supremo Collegio si caratterizzano per essere una entità patrimoniale a se stante, economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione e per questo vanno sempre ed in via del tutto autonoma accertate e richieste.

La premessa – forse scontata – insiste sul differente concetto di guarigione e sopravvivenza (nel caso di decesso del paziente), laddove, secondo il Tribunale di Roma, nel caso di acclamato danno da perdita delle chances, per poterne ritenere accertata la sussistenza, , non basta far riferimento alla probabilità di realizzazione, alla stregua del principio del più probabile che non.

I criteri applicativi, n tema di responsabilità medica, della perdita di chances – seguendo il ragionamento del Giudice dott. Moriconi –non possono, quindi, arrestarsi al mero accertamento che le probabilità di ottenere un risultato siano elevate (superiori al 50%) ma necessitano di un doppio sistema valutativo. In primo luogo, vi è sempre la necessità di verificare la sussistenza della stessa ed in tal senso aiuta nell’accertamento il sistema ordinario di valutazione del danno (laddove il criterio del “più probabile che non” ne è il cardine), con la sostanziale differenza che il parametro di riferimento non sarà il risultato utile ma le possibilità che avrebbe avuto di conseguirlo (il danno in sé quindi consiste nella perdita delle possibilità).

Solo, quando, viene individuata la sussistenza della chances si può passare all’accertamento dell’esistenza del nesso causale fra la condotta medica e la perdita della possibilità, che prescinde dalla maggiore o minore idoneità a realizzare il risultato sperato, ma va intesa come ricerca di quel bene/diritto che si configuri attuale autonomo e diverso dagli altri.

Chiarisce l’estensore: “Ancora più in concreto: se è certo (o più probabile che non) che secondo le statistiche accreditate dalla scienza medica vi era una probabilità di sopravvivenza a cinque anni del 41% sarebbe erroneo dire, secondo tale giurisprudenza, che non spetta niente perché non si raggiunge il 51%. Quel 41% di possibilità, infatti, è un bene a se stante, costituente un diritto del paziente.”.

La seconda fase coinvolge gli aspetti concreti della fattispecie (e quindi il determinismo dell’entità risarcitoria) e solo in questo momento sarà necessario valutare l’idoneità della chance a produrre il risultato utile, con la conseguenza che il giusto risarcimento andrà stabilito in ragione della possibilità di ottenere quel risultato. In un tale scenario, il richiamo ad indagini metagiuridiche che aiutino –al fianco della scienza giuridica – il Giudice ad esercitare la sua funzione primaria, non rappresenta mera enunciazione ma evidenzia quella necessità di crasi obiettivamente indispensabile per poter determinare un giusto risarcimento. In buona sostanza, in assenza di parametri determinati a cui applicare in via analogica la singola fattispecie, il ricorso all’equità appare ancora una volta l’unica soluzione ai fini quantitativi, con l’effetto che il prodotto, di volta in volta determinato, non potrà trovare una completa conformità ed univocità ma sarà sempre ancorato a quella discrezionale valutazione che compete solo al peritus peritorum.

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