Un sondaggio di State Street a livello mondiale

di Gigi Giudice

I fondi pensione, considerando i 34 Paesi OCSE e quindi, di fatto, le principali economie mondiali più avanzate (rimangono fuori – tra i grandi Paesi – solo la Cina, l’India, la Russia e il Brasile), nel 2014 sono arrivati a gestire 25 trilioni di dollari. Rappresentano il maggiore investitore istituzionale con il 66% degli attivi previdenziali gestiti, seguiti da banche e società di investimento, con il 21% degli attivi e dalle assicurazioni, con l’11,6% degli attivi.

Per i fondi pensione il 2014 è stato, a livello mondiale, un anno eccezionale nel quale gli investimenti sono cresciuti del 5%, approfittando anche di rendimenti molto positivi.

In questo contesto gaudioso l’Italia costituisce un caso a parte. Un po’ per il fatto che la previdenza pubblica è stata ed è una presenza ingombrante, che è arrivata a garantire prestazioni da favola e uniche a livello planetario (lo affermava già nel 1975 il premio Nobel per l’economia Franco Modigliani), un po’ perché l’attuale governance degli organismi collettivi di gestione della previdenza è frutto di complessi equilibrismi di potere tra sindacati, organizzazioni imprenditoriali e parti sociali. Equilibrismi che finiscono per condizionarne lo sviluppo auspicabile.

A questi temi e, in particolare, alle strategie che i fondi pensione a livello mondiale stanno sviluppando in termini di governance, gestione dei costi e diversificazione del portafoglio, è dedicato un sondaggio della società di investimenti statunitense State Street. I cui risultati sono stati presentati a Milano il 23 febbraio scorso.

Quattro, secondo l’analisi di State Street, le aree dove si svilupperanno le strategie del futuro: il ripensamento della struttura degli schemi pensionistici, l’approccio agli investimenti, la riforma della governance e le modalità nelle quali viene risolto il dilemma tra rischio e rendimento.

Tutto questo in un contesto generale che, come è chiaro alla maggior parte degli intervistati, vede la popolazione sempre più invecchiare e nel quale domina l’incertezza dei mercati finanziari.

Le risposte a questi problemi sono, tuttavia, molto differenti. Ci sono realtà che puntano principalmente a una riduzione dei costi, altre che sono disposte a assumere maggiori rischi, altre ancora che puntano a realizzare economie di scala attraverso una crescita per linee esterne e cioè attraverso un processo di acquisizioni e fusioni.

Ad esempio il 34% dei gestori intervistati dichiara di volere ampliare anche per linee esterne il patrimonio investito (in Italia questo quota è del 56%), con l’obiettivo di ottenere migliori performance in termini di efficienza e di rendimenti.

Sempre nell’ottica della riduzione dei costi, il 48% di chiara di volere ridurre in futuro il ricorso a consulenti esterni (in Italia il 45%), mentre per i prossimi tre anni il 22% si aspetta una riduzione dei team interni di risk management e il 48% al contrario ne prevede una crescita (in Italia il 33% per entrambe le opzioni).

Il 92% dei fondi pensione, inoltre, intende modificare uno o più aspetti essenziali della governance (in Italia addirittura il 100%).

Per il nostro Paese, continua lo studio, si pone un problema specifico. La governance dei fondi pensione, lo abbiamo visto, è il risultato delle diverse stratificazioni tra contrattazioni sindacali, equilibrismi tattici tra parti sociali e compromessi politici. Il risultato sono, appunto, regole di governance non sempre adeguate e che non rispondono alle esigenze di rapidità nella modifica delle strategie di fronte a sempre nuovi scenari finanziari e macroeconomici. Si tratta di un bandolo della matassa difficilmente districabile, in quanto viene reso problematico se non impossibile la soluzione del dilemma rischio-rendimento.

Se infatti a livello mondiale il 45% dichiara che cercherà soluzioni per ridurre i rischi, in Italia questa ricerca della sicurezza riguarda il 71% degli intervistati. D’altra parte, sempre a livello globale, il 51% intende aumentare la propria esposizione a fondi di hedge fund e il 46% in fondi di private equity mentre in Italia, in maniera apparentemente contraddittoria, queste percentuali sono superiori (rispettivamente il 67% e il 52%).

Per quanto riguarda l’Italia,quindi, di fronte a una dichiarata disponibilità a investire in strumenti alternativi di finanza, magari esclusivamente in funzione di protezione dai rischi finanziari, non sembra corrispondere un governance adeguata dei fondi stessi e le presenza di competenze interne sufficientemente sviluppata.

Last but not Least, l’attenzione dei fondi pensione – a livello mondiale e nazionale – si orienta verso gli investimenti sostenibili e responsabili o, secondo l’acrononimo, ESG (Envinronmental, Social, Governance).

In tutto il mondo, ma in particolare in Italia, c’è grande attenzione a queste variabili, attenzione alla quale, però, conclude lo studio State Street, non corrispondono ancora investimenti proporzionali.

Di fronte alle sfide che attendono i fondi pensione ci piacerebbe raccogliere, per esempio, la visione di Sergio Corbello. Che vanta una esperienza unica in materia di fondi previdenziali privati.

Ai nostri lettori offriamo – in allegato – le slides nelle quali State Street ha sintetizzato la sua ricerca.

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