di Paola Valentini
Debuttano sul mercato i fondi comuni legati ai Pir, i piani individuali di risparmio che prevedono l’azzeramento dell’imposta sui redditi generati dall’investimento (l’aliquota è del 26%) e l’esenzione delle imposte di successione e donazione. E almeno dieci società di gestione del risprmio (Sgr), secondo una rilevazione di MF-Milano Finanza, sono pronte al debutto o lo faranno a breve. L’industria dell’asset management è infatti in prima fila per cogliere le potenzialità di questi nuovi strumenti nati pochi giorni fa (il 1° gennaio scorso) perché introdotti dalla legge di Bilancio 2017 con l’obiettivo di convogliare parte del risparmio italiano verso le pmi (nella definizione italiana ed europea aziende con meno di 50 milioni di fatturato), che rappresentano l’architrave dell’economia del Paese e che si sono sempre finanziate attraverso il canale bancario per la mancanza di un mercato liquido di capitali a loro dedicato. In teoria, dunque, i Pir sono stati pensati per dare sostegno alle piccole aziende ma in realtà, se non cambieranno alcune norme, si rischia di perdere un’occasione enorme e di non centrare l’obiettivo.

Ma andiamo con ordine. Più in generale i Pir sono contenitori fiscali all’interno dei quali è possibile collocare diverse tipologie di asset, quindi non soltanto fondi, ma anche azioni, obbligazioni, o un semplice deposito titoli collegato al conto corrente. Possono essere sottoscritti esclusivamente da persone fisiche e ciascun individuo potrà essere titolare di un solo Pir. Il capitale annuo massimo investibile nei Pir è pari a 30 mila euro per un totale complessivo di 150 mila euro. La durata minima di permanenza nel piano, per beneficiare delle esenzioni fiscali, è cinque anni. Una volta rispettate queste condizioni scatta la detassazione: i proventi e gli utili derivanti dagli investimenti effettuati tramite i Pir sono infatti totalmente esenti dalle imposte sui capital gain e il patrimonio non è soggetto a imposte di successione o donazione. In caso di estinzione anticipata prima dei cinque anni le tasse sono invece dovute (con interessi ma senza sanzioni). Un lasso temporale stabilito al fine di incentivare gli investimenti su un orizzonte congruo per garantire alle imprese di contare su un flusso di capitali stabile.

Qualunque forma assuma il Pir, i suoi investimenti devono essere rivolti per almeno il 70% verso strumenti finanziari (azioni o obbligazioni quotate e non nei mercati principali o nei sistemi multilaterali di negoziazione) di aziende italiane o europee (della Ue o dello Spazio economico europeo) con una stabile organizzazione in Italia (il restante 30% del valore del Pir può essere investito in qualsiasi altro strumento, inclusi i depositi e i conti correnti).

Di questo 70%, il 30% (che equivale al 21% dell’investimento complessivo) deve essere composto da strumenti di società non comprese nei principali indici di borsa, a partire dal Ftse Mib italiano. Ed è su questo passaggio che il progetto Pir rischia di non raggiungere appieno il suo scopo. Perché escludere solo le blue chip dal piano significa ricomprendervi una serie di mid cap da fatturati ben superiori a 50 milioni che finirebbero col monopolizzare gli investimenti data la loro maggiore liquidità. Secondo le stime i Pir potrebbero avere un importante impatto sul sistema Italia, mobilitando fino a 18 miliardi in nuovi investimenti nei prossimi quattro anni. E l’obiettivo vero sarebbe far affluire il denaro sulle pmi che rappresentano il 90% delle aziende italiane. E che trovano nell’Aim di Borsa Italiana il vero mercato loro dedicato per la quotazione. L’Aim oggi ospita 77 aziende quotate, poche rispetto al gemello della borsa di Londra che ne conta oltre 3 mila. Per questo motivo un rilancio dell’Aim potrebbe essere ottenuto attraverso maggiori incentivi fiscali per investire in pmi vere che adesso non sono comprese nella normativa. «L’introduzione di incentivi fiscali potrebbe favorire, su esempio di esperienze estere di successo, la nascita di fondi dedicati», nota Anna Lambiase, ad di Ir Top, partner Equity Markets di Borsa Italiana. Si innescherebbe dunque un circolo virtuoso tale da dirottare più risorse sulle pmi italiane. Sarebbero necessari dunque correttivi per poter creare condizioni tali da rendere il mercato di borsa delle pmi liquido, altrimenti le risorse che saranno investite sui Pir rischiano di premiare le aziende di dimensioni maggiori tra le mid cap, contraddicendo lo spirito della normativa.

I Pir sono quindi l’innesco di questo meccanismo. E, come detto, le società di asset management sono al lavoro per raccogliere la proposta lanciando Pir sotto forma di fondi comuni specializzati in azioni di pmi, ma anche polizze. «Siamo convinti che la nuova normativa sui Pir avvicini il risparmio privato, fondamentale risorsa per il nostro Paese, all’economia reale», afferma Andrea Ragaini, vice direttore Generale Banca Generali , «si tratta dunque di un tema che stiamo guardando con particolare attenzione». Banca Generali sta studiando la normativa e preparando soluzioni innovative per la clientela del private banking, che è il target di riferimento della banca del gruppo Generali . «Compatibilmente con gli ultimi chiarimenti in materia, abbiamo in programma nei prossimi mesi di lanciare un prodotto dedicato che, oltre ai vantaggi fiscali per i sottoscrittori di lungo periodo, possa contare su caratteristiche distintive nella gestione, come tipico delle nostre soluzioni presenti sul mercato. Al perimetro di investimento stiamo infatti anche verificando l’opportunità di sviluppare servizi collaterali ai prodotti, sfruttando la posizione privilegiata e le sinergie che ci offre l’appartenenza al gruppo Generali », rivela Ragaini.

Anche Ubi Pramerica Sgr ha aperto il cantiere dei Pir. «Crediamo che rappresentino un’interessante opportunità per gli investitori italiani e contiamo di lanciare un’offerta specifica nella prima parte dell’anno, una volta chiariti gli ultimi dettagli sulla gestione operativa e fiscale del cliente», dice Marco Passafiume Alfieri, vice direttore generale e responsabile commerciale di Ubi Pramerica Sgr. Il gruppo sta lavorando a una soluzione multiasset per offrire alla clientela retail e private un portafoglio bilanciato con un’asset allocation dinamica. «Abbiamo già in gamma alcune strategie gestionali, focalizzate sul mercato italiano, con una storie di rendimenti molto convincente: Ubi Pramerica Azioni Italia e Ubi Pramerica Multiasset Italia, per esempio, hanno chiuso un anno difficile per il mercato italiano come il 2016 con performance positive e superiori ai benchmark di riferimento», prosegue Passafiume Alfieri. Il gruppo punta, inoltre, «a facilitare l’accesso ai benefici fiscali dei Pir anche a investitori con minori capacità di investimento attraverso la possibilità di sottoscrivere un Pir mediante piani di accumulo, partendo da versamenti mensili di 50 euro», afferma il vice direttore generale di Ubi Pramerica Sgr.

Per Anthilia la strategia migliore è lanciare prodotti nuovi. «I Pir prevedono regole precise riteniamo pertanto, piuttosto che adattare prodotti esistenti, valga la pena pensare a veicoli dedicati a questo tipo di strategia di investimento», avverte Daniele Colantonio, partner e responsabile sviluppo prodotti di Anthilia Capital Partners Sgr. La quale sta preparando un fondo dedicato ai Pir facendo leva sulle sue competenze interne. «Seguiamo da anni diverse piccole e medie aziende quotate italiane che riteniamo in linea con i requisiti di un portafoglio dedicato. Investire in questa asset class richiede non solo competenza di gestione, ma profonda conoscenza delle dinamiche interne alle aziende target», prosegue Colantonio. Con un’avvertenza. «Le realtà italiane hanno storie di crescita e aspirazioni internazionali diverse, solo gestori da tempo dedicati a questo segmento possono offrire un valore differenziale rispetto a prodotti a gestione passiva. La volatilità sul mercato è elevata e spaventerebbe l’investitore se non fosse controllata con una selezione e monitoraggio accurati. L’esperienza dei team di gestione alla base dei prodotti proposti sono fondamentali. Non ci si improvvisa nel segmento equity italiano», afferma Colantonio.

Fa eco Silvano Bramati, co-direttore commerciale di Azimut Capital Management: «Siamo fortemente convinti del valore che i Pir potranno esprimere non solo nel sostegno all’economia reale del nostro Paese ma anche nella promozione di un’allocazione più efficiente della maggior parte del risparmio degli italiani». Secondo Bramati «lo strumento rappresenta un’importante opportunità per i consulenti che collocheranno questi prodotti perché stabilizzano la relazione con il cliente finale». Inoltre, «l’appeal fiscale, che spingerà a mantenere l’investimento nel tempo, sarà il migliore deterrente all’emotività derivante dalla volatilità dei mercati», dice Bramati annunciando che Azimut nei primi mesi dell’anno lancerà «fondi e polizze che sapranno valorizzare al meglio le capacità gestionali del nostro gruppo con profili di rischio bilanciato e aggressivo».

Anche il gruppo Generali punta sui Pir. «Ci siamo già attivati, sia internamente al gruppo Generali che esternamente con i nostri distributori, per sondare l’interesse ed elaborare delle soluzioni di investimento in logica Pit in linea con i loro desiderata», afferma Paolo Casadonte, Head of Sales Italy di Generali Investments.

Le potenzialità dei Pir fanno gola anche ai gruppi esteri di asset management presenti sul mercato italiano. A partire dall’inglese Schroders. «Allo stato attuale stiamo lavorando per poter offrire ai risparmiatori soluzioni d’investimento sulla parte più liquidabile del portafoglio che costituirà il Pir», afferma Luca Tenani, Country Head Italy Asset Management.

Ha sede a Londra anche Albemarle Asset Management che di recente ha lanciato Target Italy hedged, comparto specializzato sulla Borsa italiana che si affianca al cavallo di battaglia della casa il Target Italy di cui ricalca la composizione di portafoglio, ma rispetto al fondo originario gode di una copertura più marcata attraverso una posizione short sull’indice italiano Ftse Mib. «Crediamo che il Target Italy possa essere legato ai Pir in quanto fondo che investe solamente in azioni quotate italiane con una parte importante del portafoglio sempre investita in small-mid cap», spiega Umberto Borghesi, chief investment officer della boutique di investimento inglese.

D’altra parte l’esperienza estera dimostra che i Pir sono stati ben accolti dal mercato. «In altri Paesi europei esistono già da tempo contenitori fiscali all’interno dei quali i risparmiatori hanno la facoltà di far confluire parte dei propri investimenti: sia gli Isa inglesi che i Plan d’Epargne francesi hanno riscosso un grande successo», conclude Tenani. A questo proposito Marco Rosati, amministratore delegato di Zenit Sgr (in procinto di lanciare due fondi legati ai Pir, si veda box) ricorda che «il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, parlando di recente di Pir, nell’ambito del Pacchetto Industria 4.0, li ha definiti strumenti finanziari utili a far ripartire l’economia e ad aiutare le imprese italiane a rilanciare la loro capacità competitiva». Con effetti positivi anche per le pmi quotate. Secondo le stime di Equita Sim, contenute in una breve nota dedicata a questi strumenti pubblicata mercoledì 11 gennaio, gli incentivi per i Pir (e quelli per i fondi pensione visto che sono state previste analoghe agevolazioni fiscali anche per questi investitori istituzionali) «sono una mossa corretta di politica industriale. Infatti l’esperienza di altri Paesi ha dimostrato che provvedimenti di questo tipo sono assai utili se non addirittura indispensabili per favorire il finanziamento di aziende meritevoli, soprattutto di piccole-medie dimensioni, senza dover dipendere necessariamente dal canale bancario», sottolinea Equita. Secondo le stime del broker l’impatto più evidente si dovrebbe vedere sulle mid e small cap, con acquisti cumulati nei primi tre anni pari a 4,4 miliardi, il 12,5% del flottante dell’indice delle pmi di Piazza Affari Ftse Mid Caps.

Tra gli investitori istituzionali più attivi nell’Aim c’è infine Mediolanum Gestione Fondi Nell’Aim italiano, in base all’ultima rilevazione di ottobre, la società è esposta per circa 15 milioni principalmente relativi al fondo Mediolanum Flessibile Sviluppo Italia nato nel 2013 che ha in portafoglio circa il 25% di azioni di pmi e per la quota restante in obbligazioni emesse sempre da small cap italiane. Il fondo ha un patrimonio di circa 550 milioni. La percentuale in titoli dell’Aim è piuttosto limitata proprio per la difficoltà di trovare titoli sufficientemente liquidi e con una capitalizzazio
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