Il rapporto tra Mediobanca e Generali , con la prima che trae una parte cospicua dei mezzi di sussistenza dalla seconda, si poteva giustificare nell’era cucciana, quando Mediobanca svolgeva funzioni di istituto di credito speciale, merchant bank e holding di partecipazioni. Nell’era della globalizzazione e della banca universale questo rapporto, che costituisce un unicum anche nel panorama internazionale, non regge più, comportando distorsioni. A cominciare dalla dotazione patrimoniale della Compagnia che dovrebbe essere aumentata ma che viene allontanata per i timori delle diluizioni anche da parte degli altri azionisti. Quando, 14 anni fa, si profilò l’ipotesi di un attacco di gruppi francesi raccolti intorno all’allora ad Vincenzo Maranghi, un insieme di banche italiane, fra cui Unicredit e Capitalia, intervenne a protezione delle Generali e riscosse l’attenzione e il sostegno della Banca d’Italia di Antonio Fazio, a quel tempo secondo azionista del Leone.

La difesa dell’italianità, che compare sulla bocca di quanti all’epoca la contestavano duramente, venne compiuta nel mercato, a tutela anche di posizioni patrimoniali dei singoli intermediari. Fazio in quel momento fu criticato da alcune teste d’uovo (che ignoravano finanche la partecipazione detenuta da Palazzo Koch); poi, come già altre volte, il suo comportamento è stato molto apprezzato e considerato cruciale. Il secondo caso fu il voto dell’Istituto centrale di astensione sul bilancio della Compagnia quando, per volere di Mediobanca , fu dimissionato un presidente del valore di Alfonso Desiata, un personaggio di grande competenza e rigore morale: oggi, forse, si verifica un caso di corsi e ricorsi vichiani con l’estromissione del direttore generale Alberto Minali, la cui professionalità e capacità non può essere messa in dubbio. Con questo dimissionamento si prosegue lungo la linea dell’instabilità ai vari livelli dei vertici dell’assicurazione che evoca il tempo in cui la permanenza nelle cariche apicali era assurdamente limitata a un anno salvo rinnovo.

C’è quindi bisogno di chiarezza. Se Intesa Sanpaolo , che ha dichiarato di muoversi per conseguire con la compagnia una combinazione industriale, riterrà di fare un passo ulteriore ed entrare nell’azionariato con la sua indubbia forza e autorevolezza, l’operazione sarà sicuramente benvenuta: affrontate le problematiche che Intesa da subito ha segnalato, si creerà un polo di indubbia potenza; si eliminerà l’anomalia di cui si è detto, spingendo Mediobanca a fare maggiormente i conti con il mercato, piuttosto che affidarsi alla rendita rappresentata da Generali ; si darà impulso a una possibile riorganizzazione bancaria e al riassetto del capitalismo italiano, formato purtroppo da non pochi capitalisti con scarsi capitali. Insomma, si attuerà il principio tanto caro a Cuccia: «titolo quinto, chi ha i soldi ha vinto». (adm)
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