di Carlo Giuro
Il metodo di calcolo contributivo della pensione pubblica determina i futuri trattamenti previdenziali in funzione di una logica non più redistributiva, come avveniva con il sistema retributivo, ma assicurativa. C’è in sostanza un legame diretto tra contributi versati e pensioni, in un percorso che riflette in maniera speculare la vita lavorativa. Emergono allora per i giovani una serie di rischi previdenziali che variano dal ritardato ingresso nel mercato del lavoro ai possibili periodi di vuoto contributivo per effetto della precarietà, alla rallentata crescita economica (la media del Pil quinquennale è il fattore di rivalutazione del montante contributivo), all’invecchiamento della popolazione che ha un impatto sui coefficienti di trasformazione del montante accumulato in rendita. Come può muoversi un giovane per fronteggiare il rischio previdenziale? Una prima possibilità è quella del riscatto degli anni di università, per accedere al quale è necessario ovviamente avere conseguito la laurea e, nel corso degli studi universitari, non avere svolto attività lavorativa perché questo periodo è già coperto da contribuzione. Non è possibile poi riscattare i periodi di iscrizione fuori corso. Quale può essere il beneficio previdenziale? Oggi, dato lo spostamento in avanti dell’età per accedere alla pensione, il vantaggio dell’operazione è soprattutto quello di incrementare il montante contributivo e quindi poter ottenere a fine carriera un trattamento previdenziale più consistente. Mentre ha perso appeal la possibilità di una volta di andare in pensione prima, perché con la stretta dell’età pensionabile delle riforme degli ultimi anni è molto più frequente il caso di chi riesce a maturare la pensione per età (vecchiaia) che per anni di contributi versati (anzianità).
L’onere di riscatto è calcolato dall’ente previdenziale in base all’età dell’iscritto, alla sua retribuzione alla data della domanda, nonché in relazione all’entità degli anni da riscattare. Più nello specifico il costo è determinato applicando l’aliquota contributiva in vigore alla data di presentazione della domanda di riscatto (nella misura prevista per il versamento della contribuzione obbligatoria del lavoratore: per i dipendenti il 33%, per i lavoratori autonomi il 23,55%, per i professionisti che hanno partita Iva ma non hanno ordini professionali e casse previdenziali di riferimento il 25%) sulla retribuzione assoggettata a contribuzione «nei 12 mesi meno remoti rispetto alla data della domanda», ed è rapportata al periodo oggetto di riscatto. Il contributo può essere versato in unica soluzione o in 120 rate mensili (10 anni) senza l’applicazione di interessi per la rateizzazione. Possono ricorrere al riscatto laurea anche soggetti non iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza che non abbiano iniziato l’attività lavorativa. In questo caso il costo da sostenere si alleggerisce, essendo pari al livello minimo imponibile annuo degli artigiani e commercianti moltiplicato per l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche dell’assicurazione generale obbligatoria (vigente nell’anno di presentazione della domanda, quest’anno quindi il 33%). La domanda di riscatto può essere indirizzata all’Inps o alle altre casse pensionistiche dei professionisti. Dal punto di vista fiscale il riscatto laurea è deducibile dall’interessato o detraibile con aliquota del 19% per i genitori nel caso in cui il soggetto non lavoratore sia fiscalmente a carico. Soluzione alternativa o abbinata può essere poi rappresentata dall’adesione a un fondo pensione che consenta al giovane di diversificare il proprio rischio previdenziale. La forma pensionistica complementare è portatrice poi di un ampio fascio di utilità, come la possibilità di accedere alle anticipazioni per l’acquisto della prima casa,o la riserva di valore data dalla possibilità di richiedere fino al 30% della posizione per la soddisfazione di qualsiasi esigenza senza doverne giustificare il motivo. Di notevole rilevanza poi i benefici fiscali, dalla deducibilità dei contributi alla tassazione ridotta della prestazioni (con imposta sostitutiva del 15% che si riduce dello 0,3% per ogni anno di durata superiore al 15esimo, fino a un minimo del 9%), al posto della tassazione in base alle più elevate aliquote Irpef, come avviene per gli assegni pensionistici di natura obbligatoria.
Anche i genitori possono poi interpretare un utile ruolo previdenziale di sostegno a beneficio dei figli non lavoratori. Attivare un piano previdenziale a un figlio significa tracciare un percorso che lo accompagnerà fino al pensionamento, godendo delle agevolazioni fiscali (il genitore deduce i contributi versati anche per i familiari a carico fino al limite annuo di 5.164,57 euro). Quando l’iscritto diventerà autonomo dal punto di vista economico potrà assumere lo stesso piano previdenziale avviato dal genitore o trasferirlo al fondo pensione contrattuale che discende dalla propria attività lavorativa. (riproduzione riservata)
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