Le disposizioni prevenzionali in tema di infortuni sul lavoro sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa

Il committente, pur assumendo un ruolo suo specifico, non è esonerato dalla posizione di garante, fermo restando il concorso di colpe altrui, ove l’evento debba ricollegarsi, in tutto o in parte alla sua condotta colposa omissiva o commissiva, come quando permette lo svolgimento dei lavori in situazioni nelle quali emerga situazione di pericolo, dovuto allo stato dei luoghi e/o all’impiego di determinati mezzi, o quando si sia ingerito.
Nel caso, l’imputato aveva consentito che i lavori venissero svolti da una squadra di operai (della quale faceva parte la vittima), senza previamente assicurarsi che fossero stati approntati i necessari presidi di sicurezza e senza considerare lo stato della copertura, la quale dalla svolta consulenza era emerso, oltre a non essere per sua natura calpestabile, risultava gravemente lesionato.
A questo punto, la sua assenza al momento dell’infortunio deve reputarsi ininfluente, assumendo rilievo la decisiva circostanza che l’imputato aveva avviato i lavori in piena violazione delle prescrizioni normative in materia di sicurezza. Né la sua posizione di garanzia poteva venir meno senza aver fatto ricorso a un responsabile dei lavori, munito dei necessari poteri decisori, gestionali e di spesa, fatto sempre salvo l’obbligo di redigere il piano di sicurezza per l’esecuzione ed il coordinamento, avendo coinvolto più soggetti autonomi.
In definitiva, non si rinviene ragione alcuna per potersi escludere la posizione di garanzia del committente, pacificamente sussistente, in quanto soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.) e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro i limiti dell’incarico medesimo e fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sui controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza.
Peraltro, l’evidenza delle precauzioni mancate e del grave rischio fatto assumere fanno sì che qui non possa assumere rilievo l’esonero ritenuto nei soli casi in cui le predette precauzioni richiedano una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine.
Poiché il garante deve assicurare il bene dell’integrità fisica e della vita del garantito, il quale da solo, per una pluralità di ragioni non sarebbe in grado di pienamente tutelarsi, il concorso (invero frequente) della colpa di quest’ultima o di altro soggetto, la cui attività o anche sola presenza risulta legittimamente inserita nel processo lavorativo, non elide affatto la penale responsabilità dei primi; salvo l’emergere di condotte che per la loro anomalia, bizzarria o abnormità non erano tali da indurre il garante ad una precipua preventiva percezione del rischio.
La razionale ricostruzione del fatto operata dal giudice dell’appello rende evidente la macroscopica infondatezza della pretesa dei ricorrenti.

Non è dato in alcun modo cogliere in cosa sia consistita la bizzarria comportamentale, l’anomala ed imprevedibile condotta del lavoratore, il quale, dovendo manovrare con un comando a distanza la pompa, onde consentire soddisfacente distribuzione del materiale fluido, gli si fosse reso necessario, o anche solo utile, o apparentemente tale, condurre tale operazione dalla copertura.
Anche se può assumersi come possibile che all’evento possa aver concorso una manovra erronea del predetto lavoratore autonomo deve escludersi, secondo la logica comune, che nel caso in esame una tale manovra possa considerarsi avulsa dalle mansioni svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente al contrario dell’assunto trattasi, invece, di un tragico evento occorso nell’esercizio e a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dai garanti.
La colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.
Più in generale, è bene ribadire che la Cassazione ha già avuto modo di affermare che «in materia di normativa antinfortunistica, l’obbligo del datore di lavoro [ma, qui, anche del committente] di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell’impresa, hanno prestato la loro opera in via autonoma. Se è indiscutibile, infatti, che il lavoratore autonomo ha l’obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all’attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato,

– l’obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell’ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata
– e, dall’altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza
– nonché di informare il prestatore d’opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro.

È di decisivo rilievo, in particolare, il disposto dell’art. 2087 c.c., in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell’impresa, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art.40 c.p. comma 2.

Tale obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. D.P.R. n. 547 del 1955, art. 3, comma 2) o, anche, di persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l’infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza.

Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi.

Ciò, tra l’altro, dovendolo desumere dal D.lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. n), che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno, dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, 10 agosto 2015 n. 34701