Il testo della legge di Stabilità 2015 adottato a fine dicembre rimedia, in parte, ad alcune criticità sui temi della previdenza integrativa e professionale

di Mattia Suardi 

Ogni anno i lavori per la definizione dei contenuti della legge di Stabilità – quella che fino a qualche tempo fa era nota come «legge finanziaria» – rappresentano un ambito di grande attenzione per le rilevanti ricadute sulla vita economica del Paese. Proprio per questo motivo, Anasf ha deciso di contribuire inviando, lo scorso 5 novembre, una memoria alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Nel proprio intervento, l’Associazione ha dedicato una specifica attenzione alle disposizioni in materia di trattamento di fine rapporto e di tassazione delle forme di previdenza integrativa e delle Casse previdenziali dei professionisti (nel caso dei promotori finanziari, la Fondazione Enasarco).

In primo luogo, Anasf non ha ritenuto condivisibile l’introduzione del «Tfr in busta paga», ossia la proposta volta ad accordare ai lavoratori dipendenti del settore privato la possibilità di richiedere la liquidazione diretta della quota maturanda di Tfr come parte integrativa della propria retribuzione mensile. Particolarmente critica risulta la scelta di estendere questa facoltà anche ai lavoratori che abbiano già deciso di destinare il proprio Tfr a una forma pensionistica complementare. L’Associazione ha infatti sottolineato che, in questo modo, si crea un disincentivo all’investimento in previdenza integrativa e, più in generale, si finisce per trasmettere ai cittadini un segnale contraddittorio rispetto alla necessità di garantirsi un reddito adeguato negli anni della pensione mediante una corretta pianificazione delle proprie decisioni di risparmio e di investimento.

Sempre sulla base dell’esigenza di assicurare la sostenibilità del sistema di welfare italiano, Anasf, al pari di altre realtà associative quali ABI e AdEPP (l’Associazione degli Enti Previdenziali Privati), ha rilevato notevoli criticità rispetto sia alla proposta di aumentare dall’11 al 20% l’aliquota dell’imposta sostitutiva applicata ai rendimenti dei fondi pensione, sia alla scelta di non riportare nel disegno di legge alcuna disposizione atta a neutralizzare, per le Casse previdenziali, l’effetto del generale incremento dell’aliquota sui rendimenti finanziari dal 20 al 26%. Anasf ha pertanto segnalato la necessità di riconsiderare queste iniziative, sostenendo che le esigenze di rilancio dell’economia italiana non possono tradursi nel sacrificio del risparmio creato dai lavoratori.

A conclusione del suo iter legislativo, la legge di stabilità 2015 è poi stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 29 dicembre ed è entrata in vigore il 1° gennaio. È ora possibile valutare in che misura le preoccupazioni relative ai temi della previdenza integrativa e professionale siano state recepite dal legislatore. In primo luogo, va notato che è stata confermata la novità rappresentata dal cosiddetto Tfr in busta paga. La misura ha tuttavia carattere sperimentale, poiché riguarderà i periodi di paga dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018. La temporaneità della norma va pertanto a compensare, almeno in parte, il potenziale impatto negativo sullo sviluppo della previdenza complementare.

Nel testo definitivo della legge di stabilità è stato inoltre introdotto un meccanismo volto a sterilizzare l’aumento della pressione fiscale su fondi pensioni e Casse previdenziali. Alle Casse è infatti accordato un credito d’imposta pari alla differenza fra la nuova aliquota (26%) e l’aliquota applicata sino allo scorso anno (20%). Lo stesso meccanismo viene esteso ai fondi pensione, con un «bonus» pari al 9% del risultato netto maturato. Il credito d’imposta è tuttavia condizionato, in quanto sarà concesso solo in caso di investimento in attività a medio e lungo termine, che verranno individuate con apposito decreto del ministero dell’Economia e delle finanze. È poi previsto un tetto alla possibilità di beneficiare dei crediti d’imposta, nella misura di uno stanziamento massimo pari a 80 milioni di euro. Alla luce di questi sviluppi, la decisione di neutralizzare gli effetti dell’aumentata pressione fiscale, ricollegando questa scelta alla necessità di sostenere gli investimenti nell’economia reale, può dirsi apprezzabile e, come tale, viene incontro alle istanze espresse dalle varie realtà associative. Il nodo critico riguarderà piuttosto il limite di spesa di 80 milioni di euro: uno stanziamento che, oltre a essere «a esaurimento», con tutta probabilità non sarà infatti sufficiente rispetto alle capacità di investimento di fondi pensione e Casse previdenziali.