di Giovanni Barbara – Partner KStudio Associato (Kpmg)

C’è gran fermento sulla Tobin tax, la discussa tassazione sulle transazioni finanziarie. Ora è arrivato anche il via libero da parte dell’Ecofin (l’organismo che riunisce i ministri delle Finanze dell’Unione Europea) che ha accordato a 11 Paesi membri (tra cui l’Italia) di procedere nella «cooperazione rafforzata» per l’introduzione della nuova tassa, permettendo così ai Paesi coinvolti di proseguire nello sviluppo di una normativa in grado di frenare la speculazione (e la conseguente volatilità sui mercati finanziari) e di generare un gettito utile per le casse dei singoli Stati. E il primo di questi Paesi sarà proprio l’Italia, che la applicherà autonomamente e con un’entrata in vigore prevista in momenti diversi, dal prossimo 1° marzo e dal 1° luglio. In particolare, l’imposta (figlia della legge di Stabilità 2013) sarà applicata agli strumenti finanziari azionari e ai relativi derivati trattati su mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione nonché Over the counter (Otc), con le seguenti modalità: a) trasferimenti di proprietà effettuati dal 1° marzo 2013 su titoli azionari e partecipativi, b) deal effettuati dal 1° luglio 2013 su derivati che abbiano come sottostanti strumenti di cui alla precedente lettera a), e c) negoziazioni ad alta frequenza (quelle in cui partono milioni di ordini a grande velocità), a partire da marzo se l’operazione riguarda azioni e strumenti partecipativi, da luglio per i derivati. L’imposta, nella misura proporzionale dello 0,2% per il trasferimento di titoli e in misura fissa per i contratti derivati, dovrà essere versata (entro il 16 del mese successivo all’operazione) da coloro che intervengono nell’esecuzione delle operazioni (in particolare intermediari finanziari, società fiduciarie e imprese di investimento) che ricevono l’ordine di esecuzione da parte dell’acquirente o delle controparti.

L’intervento realizzato con l’introduzione della Tobin tax (che, si stima, frutterà alle casse dello Stato un miliardo di euro l’anno e, più in generale, ben 35 miliardi di euro sul totale degli 11 Stati coinvolti, quando saranno tutti effettivamente coinvolti) è stato incentivato dalla grave crisi finanziaria degli ultimi anni e, sebbene rimanga ancora aperto il problema del testo conclusivo dell’imposta a livello europeo, ovvero della definizione di un’imposta uniforme tra i Paesi aderenti (onere certamente della Commissione Europea), l’intento del legislatore è apprezzabile sotto il profilo della necessità di frenare lo strapotere speculativo. Ma all’atto pratico ci sono parecchi punti deboli e contraddizioni. Se da un lato, per esempio, si è pensato di tassare le negoziazioni ad alta frequenza (dalla natura completamente speculativa), dall’altro non sono state incluse nella tassazione, ad esempio, le operazioni di intraday trading che, grazie alla possibilità di acquistare e vendere posizioni nell’ambito di una stessa giornata di borsa, consentono agli operatori di guadagnare di volta in volta su tantissimi margini di prezzo nel corso delle contrattazioni. Inoltre, se una delle attrattive dell’imposta è rappresentata dalla possibilità di arginare l’enorme ricorso nel mondo ai derivati (strumenti, di fatto, finalizzati ad aumentare la speculazione), la previsione di un’imposta fissa (rispetto all’aliquota percentuale) non sembra essere coerente con tale finalità. Come può un costo di soli 200 euro (al massimo) su una qualsiasi transazione milionaria scoraggiare l’operatore dall’effettuarla? Il peso è davvero irrisorio. Probabile che il Decreto del Mef, di prossima emanazione, penserà ad aggiustare il tiro. (riproduzione riservata)